Page 20 - Oriana Fallaci - I sette peccati di Hollywood
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nemmeno un night- club. Ci addormentammo sognando Irving
                Hoffman.

                  Ma l'indomani egli telefonò e la sua voce era triste. L'indirizzo
                era  sbagliato.  Da  un  mese  Marilyn  non  abitava  più  lì.  Il

                telegramma  era  tornato  al  mittente.  Bisognava  avere  fiducia.
                Ora  telefonava  a  Mitch  Miller,  il  celebre  suonatore  di  oboe.
                Miller  conosceva  Marilyn,  ma  non  il  suo  recapito.  Era

                necessario  rivolgersi  ad  Arthur  Jacobs,  disse,  che  era  il  suo
                agente pubblicitario, e però viveva in California. Irving spedì un

                telegramma  ad  Arthur  Jacobs,  il  quale  rispose  di  ignorare
                l'indirizzo;  ma  conosceva  uno  che  poteva  averlo,  ed  era  Earl
                Wilson,  famoso  columnist.  Earl  Wilson  era  nell'Arizona  e

                rispose che non sapeva nulla, però c'era uno che poteva saperlo,
                Steven  Kaufmann,  uno  degli  uomini  più  ricchi  di  New  York,

                ammiratore di Marilyn. Steven era in città, ci ricevette nel suo
                lussuoso appartamento, ci dette un bicchiere di whisky, disse:

                «Please, now relax» (per favore, ora calmatevi) e ci consigliò di
                rivolgerci al giornalista Leonard Lyons, che certo sapeva.

                  Telefonammo a Leonard Lyons, ma la moglie Sylvia rispose
                che Leonard era partito per Mosca col suo taccuino di indirizzi e
                bisognava rivolgersi a Earl Blackwell, quello che gli americani

                chiamano  Mister  Celebrity,  perché  ha  l'indirizzo  di  tutte  le
                celebrità. Earl Blackwell era a Chicago. Rispose mortificato che

                l'indirizzo  di  Marilyn  era  l'unico  che  non  avesse  aggiornato.
                Bisognava  interrogare  Frank  Farrell,  altro  famoso  giornalista,

                che conosceva Delaney, l'avvocato di Marilyn Monroe, il quale
                forse  ci  avrebbe  aiutato  perché  aveva  la  moglie  italiana.

                Delaney risultò irreperibile.
                  Ormai tutta New York sapeva che una giornalista italiana stava
                cercando di intervistare la Monroe e non ci riusciva. Così, dopo

                tre  giorni,  cominciarono  a  telefonare  giornalisti  che  volevano
                intervistare  me.  «Vorrei  fare  un  articolo  su  questa  storia»

                dicevano. E stupivano che io stupissi.
                    Qualcuno  mi  aspettava  nella  hall  dell'albergo  per  farmi  la

                fotografia. Volevano il mio curriculum vitae, si interessavano a



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