Page 21 - Oriana Fallaci - I sette peccati di Hollywood
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qualsiasi  cosa  facessi,  quando  io  e  Jean  restammo  chiuse  per
                sbaglio  in  un  teatro  della  48a  Strada  e  fummo  costrette  a

                dormire  quasi  tutta  la  notte  su  due  poltrone  della  platea,  il
                columnist  Louis  Soboi  raccontò  l'incidente.  Da  allora  ci

                muovemmo  con  cautela,  Impaurite:  quasi  fossimo  osservate
                ogni  momento  da  migliaia  di  occhi.  Basta  così  poco,  in
                America, per acquistare un momento di celebrità. Io e Jean ci

                eravamo riuscite nostro malgrado ed eravamo atterrite.
                  Non avevo più voglia di intervistare Marilyn Monroe: ma per

                nessuna ragione, ora, avrei potuto confessarlo e abbandonare le
                ricerche.  Sarebbe  stato  una  specie  di  scandalo.  Ero  ormai  «la
                giornalista che è venuta per trovare la Monroe» e dovevo a ogni

                costo  recitare  la  mia  parte.  Decine  di  persone  cercavano  di
                aiutarmi a New York e in altre città d'America, in una gara di

                gentilezza nazionale, e non mi era concesso di deluderle. Ogni
                ora  della  mia  giornata  doveva  essere  dedicata  alle  indagini,

                quando  volevo  andare  a  spasso  o  a  fare  gli  acquisti  dovevo
                uscire di nascosto e lo facevo con un senso di colpa, come se

                imbrogliassi l'intera città. La Monroe era ormai un personaggio
                secondario in un gioco che diventava sempre più impegnativo.
                Irving Hoffman non lavorava più per cercare l'indirizzo e la sua

                faccia diventava sempre più bianca, i suoi occhi miopi, dietro le
                lenti, avevano uno sguardo sempre più spento, quasi doloroso.

                Aveva  trovato  l'indirizzo  di  Milton  Greene  e  gli  aveva  scritto
                una lunga lettera alla quale l'ex fotografo non si era degnato di

                rispondere.  Presto  la  notizia  giunse  fino  a  Louella  Parsons.
                Louella  non  conosceva  l'indirizzo  di  Marilyn,  ma  promise  di

                aiutarci e di descrivere i nostri sforzi sulla colonna giornaliera
                che  pubblica  contemporaneamente  su  trecento  quotidiani.
                Intanto  suggeriva  a  Irving  di  parlare  a  Sam  Shaw,  altro

                fotografo di Marilyn.
                  Irving telefonò a Sam Shaw e subito dopo venne a cercarmi

                con  voce  rotta  dall'emozione.  Marilyn  abitava  al  numero  2  di
                Sutton  Place,  nello  stesso  edificio  di  Milton  Greene.  «Bene»

                dissi.



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