Page 26 - Oriana Fallaci - I sette peccati di Hollywood
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redazione, frenando l'orgoglio.
                  Certo, mi scottava un poco pensare che ero andata in America

                con  l'intenzione  di  intervistare  la  Monroe  e  non  l'avevo
                incontrata nemmeno di striscio. Quando leggevo un articolo di

                un collega che era stato più bravo di me, arrossivo di vergogna e
                nascondevo  il  giornale.  In  redazione  mi  burlavano.  «Ci  sono
                due  cose,»  dicevano  i  perfidi  «che  in  America  tutti  vedono

                senza fatica: l'Empire State Building e la Monroe. Sei sicura di
                avere  visto  l'Empire  State  Building?»  Poi  Irving  Hoffman  si

                stancò di inviarmi i ritagli, i colleghi smisero di torturarmi, misi
                l'animo in pace e volli dimenticare la Monroe.
                  Passarono quasi due anni in questo oblio delizioso. Marilyn

                aveva nel frattempo liquidato Milton Greene e sposato Arthur
                Miller.  Decine  di  giornalisti,  in  quella  occasione,  avevano

                parlato con lei a pochi centimetri di distanza. Una intervista con
                lei  non  era  più  un  colpo  sensazionale.  Con  ipocrita  serietà

                ripetevo  a  me  stessa  che  non  mi  sarebbe  importato  vederla,
                ormai. Se l'avessi incontrata in un bar, avrei distolto lo sguardo

                annoiata.
                  Ero sempre in Europa, o poco più in là, Marilyn viveva a New
                York e non c'era pericolo che un simile incontro avvenisse. Ma

                giunse, inesorabile, il giorno in cui mi spedirono nuovamente in
                America per fare questa inchiesta su Hollywood. E il mio aereo,

                diretto a Los Angeles, si fermava a New York. Amo New York.
                Ma  il  ricordo  di  ciò  che  vi  avevo  sofferto  mi  toglieva  ogni

                voglia  di  andarci.  «Io  non  esco  nemmeno  dall'aeroporto  di
                Idlewild» dissi con falsa noncuranza al giornale.

                  «Cambio l'aereo e vo subito a Hollywood.» I perfidi furono di
                parere diverso: «No, no. Facci una scappatina. Magari un giorno
                soltanto. Potrebbe servire». Scesi a New York. Dopotutto, non

                dovevo mica vedere Marilyn Monroe o scrivere qualcosa su di
                lei!

                  Era un'alba bagnata di sole, mi sentivo quasi leggera. Com'era
                bella questa città senza l'incubo di Marilyn Monroe! I grattacieli

                sembravano più alti, i negri più neri, il rombo della sotterranea



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