Page 29 - Oriana Fallaci - I sette peccati di Hollywood
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decine e decine di automobili. Solo chi ha guidato
un'automobile nel centro di New York può capire che cosa
significhi trovarsi bloccati nel traffico.
«Ma io ho fretta!» singhiozzai.
«Vada a piedi» disse lui.
Scesi sbatacchiando lo sportello, senza dargli la mancia. Mi
insinuai spiaccicandomi tutta fra gli invisibili corridoi che
ancora restavano fra automobile e automobile, raggiunsi la
Quinta Avenue.
Precedute dalle trombe e dai tamburi, passavano le belle
ragazze in gonnellino, gli studenti delle scuole superiori, le
madri di famiglia con le bandiere, i mutilati di guerra, nella più
lunga parata che avessi mai visto. Non so che parata fosse. Non
lo chiesi e non me ne importa. «Patapum- za- za»
facevano i tamburi. «Mi lasci attraversare, la supplico.»
«Patapum- za- za.» Al di là della Quinta Avenue c'era
Broadway e in Broadway c'era il Radio City Music Hall dove
arrivava Marilyn.
«Dove va, honey, non si può attraversare» urlò un poliziotto
afferrandomi un braccio. «Please,» ripetevo «è urgentissimo.»
«Patapum- za- za, patapum- za- za.» Mi scaraventò contro il
muro, minacciò di arrestarmi se avessi ancora tentato di
disubbidire: «Do you have to go to the Court?».
Lentamente, con l'animo rassegnato di chi non può fare nulla
contro il destino, cominciai a percorrere il marciapiede destro
della Quinta Avenue cercando un punto dove si potesse
attraversare per raggiungere Broadway.
Lo trovai, finalmente, dopo dodici blocchi. Entrai in
Broadway, sì. Arrivai al Radio City, sì. Ma ero in ritardo di
quaranta minuti sul ritardo di Marilyn. Marilyn non c'era più.
«Che pupa» diceva la folla. L'avevano vista tutti, naturalmente.
«Che zigzag.» Sembra che avesse i capelli spettinati e fosse
vestita di raso color crema. Completai le mie duemila parole
senza aver visto la Monroe. Poi proseguii il mio viaggio per
Hollywood. Poi tornai in Italia. E quattro mesi dopo mi
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