Page 30 - Oriana Fallaci - I sette peccati di Hollywood
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rimandarono, spietati, in America.
                  Sembra che i corrispondenti dei giornali abbiano tanto da fare

                e che si debba aiutarli, ogni tanto.
                    Sembra  che  anche  la  faccenda  della  lingua  sia  molto

                importante.  Se  uno  parla  bene  il  francese,  lo  mandano  in
                Germania. Se uno parla bene il tedesco, lo mandano in Francia.
                Se uno parla bene tutte le lingue, lo tengono a casa. Se uno parla

                bene  l'inglese,  lo  mandano  in  Russia.  Io  parlo  l'inglese  e  mi
                mandano in America. E tornai, per la terza volta, a New York.

                Ma stavolta ero rassegnata.
                    Sapevo  già  quello  che  mi  aspettava.  Avevo  con  me  la  lista
                degli argomenti che avrei dovuto trattare.

                  Qualcosa su Elisabetta d'Inghilterra che si recava negli Stati
                Uniti in forma ufficiale per rafforzare (dice) i buoni rapporti fra

                i  due  paesi,  qualcosa  sui  gangsters,  qualcosa  su  Mickey
                Spillane,  una  inchiesta  su  Broadway,  una  sul  Natale,  e  un

                articolo sui coniugi Mailer. Voglio dire Marilyn e Arthur Miller.
                  Voglio dire Arthur Miller e Marilyn Monroe. Sì, sì.

                    Non  c'è  bisogno  di  raccontare  che  riservai  quell'argomento
                proprio  per  ultimo.  Per  un  mese  e  mezzo  non  ne  parlai  a
                nessuno,  tanto  mi  nauseava.  Irving  non  voleva  nemmeno

                vedermi.  Ogni  tanto  gli  telefonavo  ma,  prudente,  diceva  che
                aveva il raffreddore, che suo fratello era all'ospedale, suo padre

                in fin di vita, e io fingevo di crederci con un «Ci vediamo» che
                lo rendeva freddissimo. Ma a un certo punto dovetti affrontare il

                problema.  Oh,  lo  feci  senza  entusiasmo,  sapete.  Anzi,  lo  feci
                sperando che i coniugi Miller rispondessero no. Tanto, se non lo

                avessi scritto, quell'articolo, chi si sarebbe stupito?
                    Lo  sapevano  tutti  al  giornale  che  una  specie  di  maledizione
                gravava su di me quando dovevo incontrare Marilyn Monroe.

                Non feci nemmeno il nome di Marilyn, sapete. Il medico dice
                che nuoce al mio sistema nervoso. Feci solo il nome di Miller.

                Lo feci a un press agent che lavorava col regista Mankiewicz e
                che  si  chiama  Mike  Mindlin.  Glielo  feci  con  la  maggior

                indifferenza possibile.



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