Page 184 - Oriana Fallaci - I sette peccati di Hollywood
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Hollywood» dice Lancaster. «Recitare non fu mai il mio sogno.
Ci andai perché non avevo quattrini e soffrii come un cane
perché la mia donna restava a New York. Ma dissi a me stesso:
"Burt caro, Hollywood non ti avrà mai".» Infatti non lo ebbe
mai.
Burt girava per il Sunset Boulevard coi capelli ispidi e corti
come le spine di un cactus, gli abiti sudici, la barba lunga.
Litigava con tutti. Disse a importanti columnist che li
considerava dei fessi, a una celebre star che non sapeva leggere
nemmeno una poesia, a un produttore carico di sussiego che i
suoi film erano porcherie, a Hedda Hopper che la risparmiava
perché «somigliava tanto a sua nonna».
La frase «who is that bum?» (chi è quel disgraziato?) lo
seguiva dovunque. Non aveva davvero paura di Hollywood.
L'unico col quale si trovasse a suo agio era Harold Hecht, un
press agent senza clienti.
Hecht aveva capito che la crisi di Hollywood era vicina. La TV
rubava milioni di spettatori e la gente andava al cinema sempre
meno.
«Senti,» gli disse Hecht «non legarti a nessuno. Restiamo
insieme e fra cinque anni produrremo da noi i nostri film.»
Sanzionarono il patto stringendosi semplicemente la mano,
niente carta da bollo.
Poco dopo Mark Hellinger offrì a Lancaster di recitare nel film
The Kitters, tratto da un racconto di Hemingway, a fianco di
una stellina che si chiamava Ava Gardner. La parte era quella di
un boxeur tonto e feroce.
«Ehi, che gli rispondo?» chiese Lancaster a Harold Hecht.
«Cerca di avere la parte a ogni costo.
Devi sfondare come divo prima di fabbricare i tuoi film» gli
rispose Harold Hecht. Burt andò a colazione con Mark
Hellinger. E fece di tutto per convincerlo che la parte gli si
adattava a misura.
Per un'ora, infatti, il produttore parlò del film. E per un'ora
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