Page 187 - Oriana Fallaci - I sette peccati di Hollywood
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avere uno psicanalista, di dire: «Io non vado nei night- club, il
                mio divertimento preferito è fabbricare bambini, ah ah!» (infatti

                ne ha cinque e gli sembrano pochi). Poteva sopportare perfino
                che abitasse con una tribù di parenti in una casa dove la stanza

                più importante è la cucina (e lui ci riceve la gente, ci fa i conti,
                ci studia i copioni). Ma non poteva perdonargli di avere istigato
                i colleghi a seguire il suo esempio.

                    La  Rivolta  delle  Star  ha  assunto,  dopo  la  Vittoria  del
                Superuomo,  proporzioni  insolenti.  Trascinati  dall'ansia  di

                raddoppiare  i  loro  miliardi,  liberi  dai  ceppi  contrattuali  che  li
                legavano agli antichi dittatori, molti divi hanno fondato la loro
                casa cinematografica e producono film. In certo senso, non sono

                più divi: sono uomini e donne di affari che passano la giornata
                fra avvocati, agenti delle tasse, esperti di pubblicità, e recitano

                le loro scene migliori dinanzi ai banchieri che prestano, senza
                battere  ciglio,  i  quattrini.  Kirk  Douglas,  Gary  Cooper,  Frank

                Sinatra, Marlon Brando, Bing Crosby, William Holden, Marilyn
                Monroe, Susan Hayward, Doris Day, Clark Gable, Alan Ladd,

                John Wayne sono tutti produttori indipendenti. I più cauti, come
                Gregory Peck, che si è messo in società con Sam Goldwyn, si
                appoggiano  alle  vecchie  case.  Altri  producono  con  grande

                vantaggio  i  film  finanziati  dalle  vecchie  case:  due  terzi  della
                produzione della Paramount, della Warner Brothers, della Fox

                sono in mano di questi business- men.
                  I nuovi signori delle scrivanie hollywoodiane sono una razza

                inflessibile, senza pietà, e non bastano i fiaschi a disincantarli,
                né  gli  imprevisti  che  costano  migliaia  di  dollari.  Tre  anni  fa

                William  Holden  produsse  Aquile  nell'infinito,  un  film  su  un
                aereo a reazione che arrivava ad altezze sconcertanti.
                    Sembrava  un  film  destinato  a  incassi  ciclopici:  il  Ministero

                della Guerra lo aveva citato e gli americani sono patriottici. Ma,
                lo stesso giorno in cui si dava la «prima» a New York, l'aereo

                che era servito alle riprese del film esplose nel cielo del Nevada,
                nel tentativo di raggiungere un nuovo record di altezza. Il film

                diventò un fallimento e Holden ci rimise tutti i quattrini. Giurò



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