Page 189 - Oriana Fallaci - I sette peccati di Hollywood
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e il dieci per cento sugli incassi.
Gary Cooper e Gregory Peck, inspiegabilmente modesti,
chiedono solo il dieci per cento sui guadagni. Frank Sinatra, con
Paljoey, volle centoventicinquemila dollari e il venticinque per
cento sui guadagni. E gli studios che ancora non sono morti per
fallimento accettano senza reagire il ricatto: senza di loro non
possono girare film e i loro nomi possono da soli fare il
successo di un film.
«Ci consola pensare che ancora non sono arrivati ad esigere il
cento per cento sugli incassi» mi disse Harry Cohn. «Ma un
giorno o l'altro pretenderanno addirittura quel che voleva Mary
Pickford, trent'anni fa.» Parlava con amara rassegnazione come
se l'indomani stesso dovesse arrendersi ai nuovi padroni; ma mi
parve di intendere qualcos'altro nella voce che accennava ai
tempi di Mary Pickford: «Le richieste di Mary, le somme
pazzesche...». E all'improvviso impressioni vaghe, frasi quasi
perdute, discorsi che sembravano dimenticati, si ricollegarono
tra loro.
Se Lancaster, Holden, i produttori infaticabili d'oggi fossero
esistiti durante il primo boom di Hollywood, si sarebbero
chiamati De Mille, Lasky: la storia di Hollywood è tutta qui. Vi
hanno sempre dominato i più energici, i più aggressivi, i più
fortunati, quelli che sono spinti da un'avidità molto forte di
«fare» e di guadagnare. E ciò impedisce a Hollywood di finire.
A ogni crisi, Hollywood rinasce con una medicina qualsiasi: la
ragazza- platino, il sistema nuovo di produzione, lo schermo
gigante, la medicina dei vincitori. E costoro, rimettendo in moto
questa pazzesca macchina di illusioni e di quattrini, non fanno
che mantenere Hollywood come è sempre stata: coi suoi miti e i
suoi peccati.
Appena accenna a fermarsi trascinando nella corsa tutto quanto
ne fa parte veramente, persino i vecchi miti del divismo non si
spengono mai. Ecco perché ci sono celebrità quasi ferme nel
tempo, ecco perché si respira l'aria macabra di un museo di
statue di cera.
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