Page 181 - Oriana Fallaci - I sette peccati di Hollywood
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vecchio: Apache. Mi costa un milione e centomila dollari, sai. E
                dimmi quanto mi frutta? Quattro milioni di dollari, ah ah! Ora

                prendiamo Vera Cruz. Bene, lì i soldi non ce li metto tutti da
                me, c'era Gary Cooper e altra gente nella faccenda. Ma ci metto

                poco più di un milione e lo sai quanto mi frutta? Otto milioni di
                dollari.  Insomma  se  faccio  un  calcolo  degli  ultimi  film  e  non
                conto la ciambella col buco, vedo che ho speso otto milioni di

                dollari  e  ho  guadagnato  quaranta  milioni  di  dollari.  E  lo  sai
                perché, bella mia? Perché, ecco, i miei film sono buoni: fatti da

                gente  giovane  e  che  lavora  sul  serio.»  Non  era  il  divo  Burt
                Lancaster a fare quei calcoli, né il
                  «magnifico bruto» per cui una celebre attrice europea varcò

                speranzosa  l'Atlantico.  Era  il  produttore  indipendente  Burt
                Lancaster,  padrone  e  fondatore  della  Hecht  Hill  Lancaster

                Company,  con  sede  al  202  di  North  Canon  Drive  in  Beverly
                Hills, e succursali a New York, Londra, Parigi; il Robespierre di

                una  rivoluzione  che  da  qualche  anno  sta  mutando  il  volto  di
                Hollywood.  Ormai  il  cinema  americano  non  appartiene  più  a

                personaggi  come  Adolph  Zukor,  Jesse  Lasky,  William  Fox,
                Sam Goldwyn, Marcus Loew, e nemmeno ai mitici vecchi come
                Cedi De Mille. Appartiene ai produttori indipendenti come Burt

                Lancaster che spavaldamente costruiscono la loro fortuna sulle
                rovine di un impero caduto. L'epoca dei grandi studios è finita.

                Gli studios esistono ancora, magari funzionano, ma non hanno
                più l'esclusiva nella produzione dei film.

                  Nei teatri di posa della Metro Goldwyn Mayer che un tempo
                simbolizzava la potenza finanziaria di Hollywood, oggi girano

                soprattutto  i  documentari  della  televisione,  di  rado  un  film.  I
                capannoni sono vuoti. Le parrucche e i vestiti che un tempo non
                bastavano mai, ora penzolano impolverati.

                    Sugli  scenari  ammuffiti  crescono  le  ragnatele.  Gli  attori
                lasciano insolentemente cadere i contratti: la Warner Brothers,

                che  prima  ne  aveva  alle  dipendenze  settanta,  oggi  ne  ha  una
                trentina. La Paramount, che ne aveva cinquantacinque, oggi ne

                ha  otto.  La  Columbia,  che  ne  aveva  cinquanta,  oggi  ne  ha



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