Page 155 - Oriana Fallaci - I sette peccati di Hollywood
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questa faccenda di Hollywood.» Fu come tirargli uno schiaffo.
                Di  colpo  dimenticò  le  frasi  imparate  a  memoria,  il  volto  gli

                divenne paonazzo, gli occhi colmi di disperazione. Battè i pugni
                sul tavolo, mentre i James Dean si giravano, un poco sorpresi, e

                «Nooo!» urlò. «Al diavolo tutti, nooo! Io resto. E vedrà quel che
                so  fare!»  S'era  alzato.  Piangeva.  Era  una  scena  penosa  e
                ridicola. I James Dean erano impalliditi.

                  Ho il privilegio, o la colpa, di avere inventato un attore. Da
                Googie's, quella sera, c'era Ben Bard.

                    Vide  tutto,  ascoltò  tutto.  Poi  si  avvicinò  a  Peter  Fray  e  gli
                disse, consegnandogli il suo biglietto di visita: «Bene, ragazzo.
                  Una scena magnifica. Diventerai certo un attore. Si comincia

                domani».
                  È dalla fine della guerra che dura questa mania dei selvaggi in

                blue jeans: ragazzi ambiziosi, rompiscatole e misogini. Gli attori
                che fanno il box office appartengono a una generazione con le

                tempie grige: si chiamano, a parte i Tre Grandi, Gary Cooper
                (cinquantasette anni), James Mason (quarantanove anni), John

                Wayne  (cinquantun  anni),  Clark  Gable  (cinquantasette  anni),
                Tyrone  Power  (un  ragazzino:  quarantacinque  anni),  Spencer
                Tracy (cinquantotto anni), Robert Taylor (quarantasette), James

                Stewart (cinquantotto), Cary Grant (cinquantaquattro). Eppure il
                pubblico degli adolescenti reclama i ribelli in blue jeans e per

                ogni  ribelle  che  muore  in  automobile,  o  tramonta  perché  la
                plastica al naso è poco riuscita, o imborghesisce perché ha preso

                moglie,  ce  n'è  subito  uno  pronto  a  rimpiazzarlo.  Basta,  ad
                esempio, recarsi una sera da Googie's.

                    «Si  tratta  di  un  prodotto  diffuso  e  assai  commerciabile»  mi
                disse Ben Bard. «In tredici anni non è ancora calato di prezzo. Il
                primo ribelle di Hollywood si chiamò Montgomery Clift.» Tutti

                gli attori sotto i trent'anni che sono divenuti celebri negli ultimi
                tempi,  da  Brando  a  James  Dean,  da  Anthony  Perkins  a  Elvis

                Presley, furono influenzati da questo strano personaggio: forse
                il più strano e incompreso che sia mai capitato in cinquant'anni

                di Hollywood. L'unico sentimento che Montgomery Clift nutre



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