Page 149 - Oriana Fallaci - I sette peccati di Hollywood
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dopo due film s'era già allineato fra i Big Three, i Tre Grandi, e
                ancora  la  gente  si  chiede  se  ha  davvero  quel  sex  appeal,  e  in

                cosa consiste.
                  «Non lo so» dice una sua partner, Deborah Kerr. «Ma se ti

                guarda  ti  vien  voglia  di  diventare  sua  schiava.»  «Non  lo  so»
                dice  un'altra  sua  partner,  Ingrid  Bergman.  «Ma  è  così
                drammaticamente  romantico.  Se  dice  ciao,  ti  buca  il  cuore.»

                «Non lo so» dice sua moglie. «Ma con lui non mi annoio.
                    È  convinto  d'essere  un  uomo  eccezionale,  e  questo  non  da

                fastidio:  esibisce  la  sua  megalomania  con  una  sfacciataggine
                piena di humour.  Ottiene quel  che vuole.  Perfino quando  non
                avevamo un centesimo, il nostro frigorifero era pieno di caviale

                e  champagne.»  Invece  il  sex  appeal  di  Yul  Brynner  è  molto
                spiegabile.  Egli  è  il  divo  per  eccellenza,  il  divo  più  divo  che

                Hollywood  abbia  mai  avuto  dopo  la  Garbo.  Egli  è,  fra  gli
                uomini, ciò che la Garbo fu tra le donne: con tutta la civetteria,

                la illogicità, la falsa inaccessibilità che distingue un divo dalla
                gente normale. Non si fa amare e odiare come Sinatra. Non è

                serio come Holden. Si esibisce nella recitazione perpetua di un
                personaggio: quello di Brynner.
                    La  sua  immaginazione  è  tanto  fervida  che  riesce  a

                suggestionare  gli  scettici.  Ero  suggestionata  anche  io  fino  al
                giorno in cui lo incontrai, nel teatro di posa della MGM dove

                girava I fratelli Karamazop.
                  Yul se ne stava rincantucciato col suo cranio lucido e bianco e

                fumava  una  sigaretta  lunga  come  la  bacchetta  di  un  direttore
                d'orchestra  mentre  fissava,  con  sguardo  magnetico,  la  punta

                degli stivali.
                    Richard  Brooks,  il  regista,  mi  presentò.  Yul  smise  di
                ipnotizzare  quei  fortunati  stivali,  volle  sapere  perché  fossi  in

                quell'orribile luogo. Aveva una voce grassa, un po'"cavernosa,
                come  la  gente  che  ha  sempre  la  tosse.  Risposi  che  volevo

                conoscerlo. Mi parve che apprezzasse il pensiero. Il suo volto
                rotondo si distese in un lieve, amaro sorriso. Mi offrì una delle

                sue sigarette. I suoi occhi mi fissavano cupi, quasi a carpire un



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