Page 72 - Oriana Fallaci - 1968
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piazza del Mercato di Saigon, dinanzi al ministero delle Poste.
Era lì che li fucilavano quando non temevano tumulti. Di primo
mattino, alla luce dei fari delle jeep. Li legavano ai pali infilati
nei sacchi di rena e: «Plotone, at-tenti! Fuoco!». Ma per questi
cinque non ci furono rappresaglie. Lo stesso FLN aveva
accertato che non erano vietcong, erano criminali comuni: messi
al muro con l’etichetta di vietcong per non perdere la faccia
dinanzi all’ambasciata. È l’incubo dei sudvietnamiti quello di
non perdere la faccia, non chinare la testa dinanzi alle pretese di
Washington. Però i sacchi di rena rimasero, e i pali infilati nei
sacchi di rena. Quale monito a Washington più che ad Hanoi. A
uno di quei pali giustiziarono mesi fa un ricco cinese, Ta Vinh,
colpevole di corruzione e di commercio coi vietcong. Ci
portarono anche la famiglia ad assistere, i bambini gridavano
papà, lui piangeva. La radio dell’FLN commentò: «La farsa
continua, la rappresaglia non è avvenuta perché neanche questa
vittima era un compagno. Ma il governo sudvietnamita è
avvertito: la prossima volta, per ogni vietcong fucilato, noi
risponderemo con due e anche tre prigionieri americani».
Rappresaglia: due americani per ogni vietcong giustiziato
Nel pomeriggio andiamo al Juspao, il servizio di informazioni
americano. I funzionari del Juspao non aprono bocca ma i loro
occhi bruciano d’ira: li inferocisce il particolare di essere stati
avvertiti da un giornalista, francese per giunta, anziché da Van
Thieu.
Sembra che lo stesso ambasciatore sia andato dal presidente
per convincerlo a sospendere l’esecuzione. Se ci stia riuscendo
o no, nessuno lo dice. Di sicuro c’è solo l’annuncio dell’FLN:
«La rappresaglia colpirà sei prigionieri americani, due per ogni
vietcong». Torno alla France Presse con Moroldo, sorprendo
François Pelou che telefona ancora al generale Loan. Questi
ammette che le probabilità di un rinvio sono del cinquanta per