Page 64 - Oriana Fallaci - 1968
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un foglio qualsiasi, con la mia penna, meditandola un po’ e
facendo cancellature, poi la ricopia e me la porge con una mano
bella, sottile, triste. L’intervista però avverrà prima, mentre le
due porte della cella sono chiuse. Due porte son meglio di una
per non restar chiusi in trappola se arriva la polizia. Ed è bene
che al di là di esse sostino due bonzi, per evitare sorprese.
Venerabile Tri Quang, in quale misura i buddisti come lei
vorrebbero ancora rappresentare una terza forza nel Vietnam?
Nel Vietnam c’è molta gente che non ama né i colonialisti né i
comunisti, io non sono né con gli uni né con gli altri, né con gli
americani né con i vietcong. Sono il terzo di cinque figli e tre di
questi figli hanno combattuto nella Resistenza contro i francesi.
Dei tre uno sono io, e questa è la mia carta da visita per i
colonialisti. La mia famiglia viene da una classe sociale che i
comunisti chiamano Tri Phu Dia Hao. Tri significa intellettuale,
Phu di campagna, Dia possidente, Hao potente. Nel 1946 i
comunisti del Nord arrestarono mia madre, la condussero
dinanzi a un tribunale, e da allora non ho più saputo se fosse
viva o morta. Questa è la carta da visita che ho da offrire ai
comunisti. Noi buddisti siamo anzitutto nazionalisti. La realtà
del Vietnam, in apparenza complicata, è nella sostanza assai
semplice. Da una parte vi sono i colonialisti, dall’altra i
comunisti, nel mezzo il popolo martoriato dagli uni e dagli altri
che sostengono di agire in suo nome. Io sto con il popolo. E ciò
non significa che sia neutralista. Non ho mai riconosciuto il
neutralismo. Sì, è esatto dire che noi buddisti vorremmo
rappresentare nel Vietnam una terza forza: essa non esiste e il
Fronte di liberazione nazionale non può certo essere considerato
una terza forza perché è nelle mani dei comunisti. Se poi i
buddisti riusciranno a rappresentare questa terza forza, io non so
dirlo. Siamo deboli. I nostri leader sono tutti morti. O li hanno
ammazzati o si sono bruciati.