Page 60 - Oriana Fallaci - 1968
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la sua automobile dinanzi alla porta. Quando vi risalì e mise in
moto, scoppiò una granata sotto il sedile. Ora vive,
miracolosamente, con l’intestino artificiale. Nemico acerrimo di
Ky e degli americani, Thien Minh combatté contro i francesi a
fianco dei comunisti, fu arrestato come attivista vietminh, oggi
lo tormenta l’accusa di usar le pagode per offrire rifugio ai
vietcong. Molta gente è rimasta delusa per l’effetto incompleto
di quella granata, nel ’66. Naturalmente, non era una granata
vietcong. Però chiedi a questo passante o a quest’altro chi sia
Thien Minh e cosa gli sia successo: si stringerà nelle spalle e poi
risponderà che non solo lo ignora, non gli importa niente che tu
glielo racconti. I buddisti sono passati di moda; in meno di
quattr’anni erano saliti a una gloria che non avrebbero osato
sperare e poi sono precipitati in una decadenza che non
avrebbero osato temere. Non hanno peso politico, hanno perso
per sempre la grande occasione che il caso o la storia gli
avevano offerto: assumere un ruolo di terza forza nel Vietnam,
insediarsi al potere come ad esempio i cattolici hanno fatto in
molte nazioni europee. Il vuoto che i buddisti hanno lasciato è
ormai colmato dal Fronte di liberazione nazionale, dai vietcong.
E sono in molti a pensare che senza la partecipazione dei
vietcong, al tempo di Diem, i buddisti non avrebbero fatto paura
a nessuno. Del resto non ne hanno mai fatta molta. La frase che
li ha sempre inseguiti è: «Non sono pericolosi, non contano
nulla».
Su quella foto il mondo pianse
Le ragioni sono semplici. Il Vietnam non fu mai un paese
buddista. Su sedici milioni di abitanti, due milioni e mezzo
appartengono alla setta Cao Dai, due milioni alla setta Hoa Hao,
quasi due milioni alla Chiesa cattolica, mezzo milione agli
animisti cioè i montanari che pregano gli dèi del suolo, dei
torrenti, delle montagne. E solo un milione sono buddisti. Gli