Page 409 - Oriana Fallaci - 1968
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«Io  voglio  bene  a  Nixon».  L’esecuzione  delle  musiche  era
                affidata  a  strani  giovanotti  vestiti  con  strane  uniformi  che

                ricordavano  molto  i  costumi  dell’operetta  La  Vedova  allegra:
                sai  quelli  con  gli  alamari  d’oro  e  le  piume.  Del  resto  anche  i

                motivi che suonavano erano più o meno i motivi di La Vedova
                allegra.  Ovunque  pendevan  cartelli  di  questo  tenore:  «Dai,

                Dick, dai!». «Forza, Dick, corri!» «Io amo Dick.» «Snoopy ama
                Dick.» (Snoopy è un personaggio di Charlie Brown.) «Pat come

                prima signora.» L’intera faccenda era abbastanza buffa, eppure
                ti metteva addosso una tale tristezza. Forse perché almeno tre
                quarti della folla era composta da persone anziane. Non ho mai

                visto  tante  persone  anziane  come  a  quel  comizio  di  Nixon.
                Avresti detto a osservarlo che la popolazione fra i vent’anni e i

                quaranta era scomparsa da Disneyland.
                    Giacché  avevo  ragione  io,  direttore,  quando  dicevo  che
                ascoltare Nixon è come tornare indietro di almeno quindici anni,

                cioè ai tempi di Eisenhower, della Guerra fredda, della Grande
                Paura.  Avevo  ragione  io  a  dire  che  accettarlo  significa  non

                rendersi  conto  di  quel  che  è  successo  in  questi  quindici  anni.
                Perbacco!  In  ogni  parte  del  mondo  nascono  fermenti  nuovi,  i

                vecchi valori vengono riesaminati, perfino il modo di discutere
                è  cambiato,  si  inneggia  ai  cecoslovacchi,  i  Beatles  vengono

                onorati  dalle  regine.  Ma  in  quel  comizio  non  te  ne  ricordavi:
                congelato  dentro  un  passato  decrepito,  sentivi  gli  occhi
                riempirsi di lacrime. Meno male che i palloncini provocarono

                qualche  risata.  I  palloncini,  sai,  fanno  parte  del  cerimoniale
                nixoniano.  Secondo  quel  cerimoniale  erano  stati  chiusi  dentro

                grandi reti sospese al soffitto e le reti dovevano aprirsi all’arrivo
                di  Nixon  affinché  i  palloncini  cadessero  giù  in  una  pioggia
                colorata  e  leggera:  a  simboleggiare  gioia.  Ma  quando  Nixon

                arrivò  le  reti  non  si  aprirono  per  niente.  Tecnici  e  volontari
                tiravano le funi, scuotevano le reti, lanciavano ordini colmi di

                imbarazzo, di rabbia. Nixon puntava il dito al soffitto per darsi
                un contegno, la signora Nixon si torceva le mani per superare

                l’angoscia: ma tutto ciò che accadeva era la liberazione di un
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