Page 38 - Oriana Fallaci - 1968
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NGUYEN VAN SAM: No, non dormivo, fa troppo caldo nella mia
cella. M’ero tolto la giacca e m’ero disteso sulla stuoia a
pensare. A volte per via del caldo non riesco nemmeno a
pensare. Resto lì come un verme che affoga nel suo sudore e
non m’importa di nulla, tutto ciò che desidero è un poco di
fresco. A volte invece sto lì e sogno, guardando il soffitto.
Sogno mio figlio. E anche i compagni della mia unità. Però ieri
ho sognato d’essere morto. In un bosco. C’erano gli alberi di
cocco e i cespugli di ananas e respiravo finalmente bene. Fa
fresco qui.
Una sigaretta, Nguyen Van Sam?
Oh, sì. Grazie! Quando respiri bene ti vengono un mucchio di
voglie. Per esempio fumare. In cella non è permesso. O leggere
un libro, un giornale. In cella non è permesso. O parlare a
qualcuno, sapere se lui ha confessato tutto e perché. Ma nella
mia cella non c’è nessuno e dalla mia cella esco solo quando mi
chiama il capitano Tan. È molto brutto. Questo silenzio, voglio
dire. È come stare in un cimitero, già fucilato, ti senti inutile
come un morto. Vedi, io sarò fucilato ma morire non è un
dispiacere. È diventare inutile che dispiace. Ti dà come un senso
di disperazione.
Devo spiegarti chi sono, Nguyen Van Sam. Sono una giornalista
e sono qui per raccontar la tua vita. Ti spiace?
Perché dovrebbe dispiacermi? Ho detto tante cose che non avrei
dovuto dire, posso dire a te la mia vita. E poi fa fresco qui, e le
tue sigarette son buone. Ma è una povera vita la mia, non so se
ti piacerà. Sono un contadino. Sono nato nella provincia di Binh
Duong, a trenta chilometri da Saigon, trentasei anni fa. Ho
lavorato la terra dei miei padri fino al giorno che sono andato a
combattere. Erano tre acri di terra. Si coltivava il riso e si
allevavano le bestie. Io facevo il guardiano di bufali. Era bello
perché è bello essere liberi per i campi e i boschi. Se mi chiedi