Page 35 - Oriana Fallaci - 1968
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motocicletta. Si incontra con un altro tipo e lo avverte: «Allora
                domani ti do l’esplosivo, è tutto pronto per dopodomani». Un

                informatore  della  polizia,  per  caso,  lo  ha  udito.  Corre  a
                telefonare e prima di mezzogiorno il tipo viene rintracciato: non

                ci sono molti vietnamiti coi baffi. Del resto al polso egli porta
                l’orologio che portava anche Huynh Thi Anh, con un buco nel

                vetro e un filo inserito nel buco, poi connesso a una lancetta per
                comandare l’innesto. Si chiama Nguyen Van Tarn, ha ventisei

                anni.  Al  1°  Arrondissement  lo  interrogano  per  tutta  la  notte,
                scariche  elettriche,  pugni,  asciugamano  bagnato.  E  lui  zitto.
                Interviene il capitano Tan e dà un ordine: «Conducetelo qui».

                Glielo danno col primo sole, non si regge in piedi. «Siedi» dice
                il capitano Tan. Ma lui resta in piedi. «Come vuoi, ci rivediamo

                stasera»  dice  il  capitano  Tan,  e  comanda  agli  agenti  di  non
                picchiarlo più. Alle dieci di sera ce l’ha di nuovo lì. «Siedi» dice
                il capitano Tan. Ma lui resta in piedi. «Una sigaretta?» chiede il

                capitano  Tan.  Ma  lui  scuote  il  capo.  Del  resto  non  potrebbe
                fumarla, le sue labbra sono una piaga, come il suo volto, il suo

                corpo.  Il  capitano  Tan  assume  un  tono  soave,  ammirato:
                «Bravo.  Sei  caduto  da  cavallo  ma  devo  rispettarti.  Si  capisce

                che sei un vero capo». Nguyen Van Tarn tace. Il capitano Tan
                continua:  «Tu  sei  un  capo,  io  sono  un  capo.  Perciò  ci

                intendiamo,  e  ti  interrogo  personalmente».  Nguyen  Van  Tarn
                tace. Il capitano Tan continua: «Tu sei un capo, io sono un capo.
                La nostra è solo una differenza ideologica…». Così per ore, a

                intervalli,  fino  alle  dieci  del  mattino  seguente.  Alle  dieci  le
                labbra tumefatte si muovono: «Cosa farete di me?». Il capitano

                Tan  allarga  le  braccia,  sospira:  «Morirai,  ovvio».  Il  volto
                distrutto  si  illumina,  gli  occhi  pesti  si  accendono:  «Vuol  dire

                che avrò un processo e sarò fucilato?». Il capitano Tan sospira:
                «Non  ci  sperare.  Tu  vuoi  finire  come  un  eroe  della  storia

                vietcong ma non ci sperare. Vuoi sapere come morirai? Sotto un
                camion americano, senza che nessuno lo sappia, te lo organizzo
                io  l’incidente.  Ci  sistemo  anche  la  motocicletta.  E  l’indomani

                sui  giornali  ci  sarà  una  breve  notizia:  “Uno  sconosciuto  è
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