Page 30 - Oriana Fallaci - 1968
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pagoda. Lentamente mi alzo, mi avvio verso il camion, e
quando salgo sul camion lo sguardo mi cade sullo specchio
retrovisivo. Sono tre giorni che non mi vedo allo specchio: per
timore che si rompesse e mi portasse male, non l’ho preso con
me. E al campo non ce ne sono, non c’è nemmeno un vetro.
Quasi con timidezza mi avvicino a quel coso che brilla, mi
osservo, e rimango allibita a fissare un volto che non conosco.
Possibile che in soli tre giorni si possa cambiare così? Ha
ragione Bobby. Non ci sono né alberi verdi, né fiumi puliti, né
bambini che cantano, qui.
«La collina 875 è stata abbandonata»
MERCOLEDÌ SERA. Al tramonto s’è udito un grido: «I morti! I
morti!». Siamo corsi alla pista, gli elicotteri li avevano già
scaricati. Erano centodieci, e venivano dalla collina 875. Erano
chiusi in sacchi di plastica argentea, con una lampo nel mezzo, e
alcuni avevano ancora la sagoma di una figura umana, altri
erano pacchi informi di roba. Erano allineati in file prolisse,
neanche dovessero sfilar sull’attenti per il generale. Erano in
stato di decomposizione e puzzavano come la coscienza degli
uomini che li avevano mandati a morire. Sono corsa da Bobby e
da Norman. Li ho trovati fuori della tenda, con gli occhi sulla
pista, le braccia conserte. In silenzio. Poi Bobby ha detto con
voce roca: «C’è anche Charlie Watters, il cappellano. Hanno
trovato soltanto la testa». E Norman ha balbettato: «No!
Nooo!». Corre voce che domani ci sarà un altro attacco alla 875.
GIOVEDÌ SERA. La collina 875 è stata conquistata dagli
americani. Scrivo queste note sull’aereo che da Pleiku ci riporta
a Saigon. Le scrivo malvolentieri perché non ho voglia di
ricordare, credo che nessuno abbia voglia di ricordare. È
successo tutto molto in fretta. Verso le nove il tenente coi baffi
è uscito dalla tenda e battendo le mani come un cretino ha