Page 31 - Oriana Fallaci - 1968
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annunciato: «Elicotteri a disposizione, zona del fuoco, zona del
                fuoco!».  Sembrava  che  offrisse  i  biglietti  gratis  per  andare  a

                teatro. Mentre gli elicotteri partivano, dalla collina si alzavano
                fumate nere: era in corso l’ultima pioggia di napalm per ridurre

                al  minimo  la  resistenza  dei  nordvietnamiti.  Nel  perimetro  del
                massacro,  come  ormai  lo  chiamano,  erano  riuniti  i  soldati  e  i
                                                a
                paracadutisti della 173  airborne: pronti per l’assalto. Nessuno
                parlava, tutti avevano lo sguardo vuoto di chi non ha scelta. Due

                ore  avanti  il  cappellano  Roy  Peters,  che  ha  sostituito  il
                cappellano  Watters,  aveva  detto  la  messa.  Molti  s’erano
                comunicati. Il perimetro era ancora pieno di bende insanguinate,

                scatole  vuote  di  medicinali,  bossoli  anneriti,  pallottole  intatte,
                elmetti con un buco dentro. Jack Russell, della NBC, era l’unico

                che ancora avesse il coraggio di andare in giro a fare interviste,
                e  poneva  a  tutti  la  stessa  domanda:  «Credi  che  ne  valga  la

                pena?».  I  più  rispondevano:  «Sì  perché  abbiamo  perso  troppi
                ragazzi, bisogna prenderla questa collina». Uno ha detto «no», e

                non  ha  voluto  aggiungere  altro.  Un  negro  ha  risposto  senza
                alzare il viso: «Lasciatemi in pace, non m’importa di nulla, non
                m’importa nemmen di morire». Poi s’è udito un berciare: «Ora

                voglio che arriviate lassù e becchiate quei figli di cani». Sono
                scattati tutti, hanno incominciato a salire. Sono andati avanti per

                cinque  minuti  senza  che  accadesse  nulla,  come  una  scalata  in
                montagna. Poi s’è udito un fischio, un altro fischio, ed è esploso

                l’inferno. Razzi, colpi di mortaio, granate, una valanga di fuoco
                che  rotola  giù  e  rotolando  si  gonfia,  si  ingrossa,  si  spezza  in

                mille  altre  valanghe  di  fuoco,  tra  gli  urli.  Urlavano  tutti.  Chi
                urlava:  «Avanti,  avanti!».  Chi  urlava:  «Barelle,  barelle!».  Chi
                urlava  bestemmie  atroci.  Un  razzo  ha  centrato  il  negro  che

                aveva detto: «Lasciatemi in pace, non m’importa di nulla, non
                m’importa  nemmen  di  morire».  Di  lui  è  rimasta  soltanto  una

                scarpa. Un altro razzo ha centrato un soldato coi capelli rossi e
                di lui non è rimasta nemmeno una scarpa, sono rimaste soltanto
                queste macchie color ruggine che ora lordano la camicia di un

                fotografo. Era il soldato che mi aveva chiesto: «Signora, è vero
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