Page 37 - Oriana Fallaci - 1968
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«Cos’altro volete da me?». La sua vocina sembrava il pigolio di
un uccello. Le ho detto: «Sono una giornalista, non sono né
americana né vietnamita, e gradirei porti alcune domande». Mi
ha detto: «Chiunque tu sia, non puoi capirmi. Perciò non voglio
che tu scriva di me». Le ho detto: «Ti capisco, invece. E voglio
scrivere bene di te». Mi ha detto: «Io parlo solo con quelli
perché mi torturano. Non riuscirai a farmi dir niente né a farmi
passar da eroina. Non sono un’eroina, non mi serve il nome sul
giornale. Mi serve uscire di qui per tornare a combattere». E s’è
chiusa in silenzio. Così l’hanno bendata di nuovo e l’hanno
portata via. Mi son messa ad attendere Nguyen Van Sam il
terribile.
I desideri segreti di un ribelle
Ero scoraggiata e provavo come una vergogna. Ma quando è
arrivato Van Sam con la sua benda nera è stato come vedere
mio padre vent’anni fa, il giorno che lo arrestarono perché gli
avevan trovato le armi paracadutate dagli americani per sparare
ai tedeschi. Nguyen Van Sam il terribile era un omino scalzo,
vestito di nero, con le spalle fragili e due manucce magre. Sotto
la benda c’era un volto emaciato, smarrito, e affondate in quel
volto due pupille lucide, tristi, da agnello. Poi i suoi occhi si
sono incontrati coi miei, e lui m’ha sorriso. Ha continuato a
sorridermi anche dopo essersi seduto fra l’interprete e me,
ignorando chi fossi. E a un certo punto ho notato che sorrideva a
tutti, al capitano Tan, al poliziotto che portava il caffè, a una
mosca che gli s’era posata su un piede, e qualsiasi cosa dicesse,
e perfino se parlava di morte. Dice che i vietnamiti fanno così
per non piangere. Siamo rimasti insieme da mezzanotte alle due
del mattino, ho registrato il colloquio.
ORIANA FALLACI: È molto tardi, Nguyen Van Sam. Ti hanno
svegliato?