Page 369 - Oriana Fallaci - 1968
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prendendomi pei capelli (io credo che gliene siano rimasti un
bel po’ in mano), mi ha fatto fare mulinello, mi ha letteralmente
scaraventata contro il muro. Sono rimasta qualche secondo
stordita, naturalmente.
Non so se avete capito com’è la terrazza. C’è questa terrazza
grande, con le scale dalle parti, poi c’è il muro con i due
ascensori e poi c’è la balaustra. Lui mi ha buttato contro il muro
dalla parte dove ci sono gli ascensori.
Quando mi sono ripresa mi sono trovata da Moises e
Manuel, gli altri erano spariti, sullo sfondo c’erano altri,
giornalisti tedeschi, olandesi, c’era un giapponese, dei francesi
eccetera. E questo qui che gridava «detenidos, detenidos,
detenidos!», cioè arrestati, arrestati, arrestati. Io sono rimasta in
piedi. Intanto continuava la sparatoria nella piazza, ma non era
ancora una sparatoria violenta. Io ho detto una parola, ho detto
soltanto una parola: «Yo italiana». Chissà perché ho detto
italiana, mi è venuto per istinto di sopravvivenza, non lo so.
Quello ha preso e mi ha messo la rivoltella alla tempia. A
questo punto, ti dico la verità, avrei voluto dire periodista,
giornalista, ma non sono riuscita a dirlo, con quella pistola
puntata alla tempia e col pensiero che se avessi voluto tentare di
dimostrarlo, non avrei neanche potuto, perché far vedere un
documento, soltanto mettere la mano nella tasca della giacchetta
(avevo i pantaloni e la giacchetta) e tirar fuori un documento
voleva dire farti sparare, perché si dovevano tenere le mani in
alto, tutte le volte che muovevano le mani quelli lì facevano
partire un colpo. Ci hanno fatto mettere…
(Il racconto è interrotto da una voce femminile che raccomanda
a Oriana Fallaci di non stancarsi: «Anoche Usted tenia fiebre,
señorita». La risposta è: «Mi lasci in pace, por favor!».)
Dunque sta a sentire: loro ci hanno fatto mettere al muro. Devo
dire che fino a quel momento, malgrado la tremenda sparatoria
fosse già cominciata, io non ero spaventata, un po’ perché c’era