Page 351 - Oriana Fallaci - 1968
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Quello che facevo, il croupier. E che altro? È il mio vero
mestiere, l’unico nel quale io sono bravo veramente, e anche il
mestiere che m’è sempre piaciuto di più. Ancora più della boxe.
Perché vedi, Steubenville è una cittadina di fabbriche e miniere
ma, quando c’ero io, la chiamavano Piccola Reno. A ogni
angolo c’era un Casino da Gioco, camminavi per strada e
vedevi i tavoli della roulette spuntare sul marciapiede. Io
all’inizio ci vendevo lo sigarette ma poi cominciai a fare pratica
delle carte da gioco eccetera, sicché a sedici anni ero già un
croupier. Fu possibile perché a sedici anni ero alto e grosso e
dimostravo vent’anni. E siccome i miei genitori erano
preoccupati dai discorsi delle zie, la sedia elettrica eccetera, io
gli dissi: «Senti ma’, senti pa’, non sono mica un giocatore,
sono un croupier. Insomma lavoro». E loro vennero a vedermi.
E si resero conto che ero un buon croupier. Perché non
imbrogliavo mai e non giocavo e…
Via, Dino, lo sanno tutti che lei è un giocatore accanito.
Oh, boy! Lo ero. Perché so giocare, no? E so come si fa a non
esser beccato, a non esser barato: sebbene sappia barare. Ma io
non baro. E vinco molto più di quello che perdo. Ora ascolta:
l’unico modo per vincere quando giochi è agguantare i soldi che
vinci, se vinci, e andartene a letto. Mai ritentar la fortuna
quando hai avuto fortuna. Mai. Finisci che riperdi tutto. E se
perdi, invece, non insistere. Alzati e vai a letto lo stesso. Poi
magari torni domani. Io ho fatto sempre così. Perché è vero che
ero un giocatore accanito, ma ora non lo sono più. Ho smesso.
Due anni fa. Così. All’improvviso. Come si fa quando si vuol
smettere di fumare. Entrai in un Casino a Las Vegas, e d’un
tratto mi accorsi che giocare faceva male quanto fumare, così
detti due o tre autografi, voltai le spalle, e andai via. A parte il
fatto che giocavo per fare i soldi e nei soldi ora ci sguazzo.
Ne ha davvero tanti, Dino?