Page 328 - Oriana Fallaci - 1968
P. 328

montagna,  di  ghiacciaio  in  ghiacciaio,  per  settimane,  braccato
                da  un  aereo  cinese  che  ogni  tanto  si  abbassa  e  allora  bisogna

                correre  dentro  un  cespuglio  o  dentro  una  caverna,  finché
                raggiunge  il  confine  con  l’India  dove  il  Pandit  Nehru  gli  ha

                promesso  asilo  e  protezione.  E  qui  saprà  che,  mentre  lui
                fuggiva, Potala è stata distrutta, la città bombardata: della fiaba
                sontuosa  nella  quale  è  cresciuto  non  rimangono  che  alcune

                macerie  e  migliaia  di  cadaveri  con  un  bastone  in  mano,  un
                coltello.






                «Se vengo a New York ti telefono»



                Com’è dunque che, uomo educato nel culto della poesia e delle
                superstizioni, ora manifesti una comprensione così strana per la

                civiltà che ha disfatto la sua civiltà e per la tecnologia che gli ha
                distrutto  il  paese?  Dal  1950  al  1958  egli  è  rimasto  come  un

                recluso  in  questa  villetta  su  un  monte  di  Dharamshala.  Dal
                monte è sceso soltanto una volta per andare in Giappone e una
                volta  per  andare  in  Thailandia:  in  entrambi  i  casi  invitato  per

                l’inaugurazione  di  congressi  vegetariani.  Altre  cinque  o  sei
                volte,  per  recarsi  a  Nuova  Delhi  dov’è  un  ufficio  del  suo

                governo  in  esilio.  A  Dharamshala  egli  passa  gran  parte  della
                giornata in preghiera: per meditare si alza alle cinque. Di gente
                ne riceve pochissima: per lo più i profughi tibetani che stanno al

                villaggio, ovviamente anticomunisti e attaccati in ogni senso al
                passato. A parte loro, non vede che i monaci e i membri della

                sua famiglia: la madre, le due sorelle, un fratello sono qui. Teme
                d’essere ucciso, o rapito. Quando passi i cancelli del suo rifugio

                vieni perquisito, interrogato, e ti tolgono perfino i fiammiferi:
                neanche tu andassi lì per dargli fuoco. Il suo unico pasto, che si

                svolge a mezzogiorno, è un pasto solitario. Le sole parentesi che
                rompono  il  rigore  della  sua  vita  monastica  sono  la  radio  e  i
                giornali  americani:  il  «National  Geographic  Magazine»,

                «Time»,  «Newsweek».  Non  ha  alcuna  speranza  di  tornare  nel
   323   324   325   326   327   328   329   330   331   332   333