Page 325 - Oriana Fallaci - 1968
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eredità dei tredici lama, i tesori degli antichi re: brillanti e rubini
della grandezza di un uovo, sacre pergamene scritte con
inchiostro di polvere d’oro, arazzi millenari, enormi statue di
giada, vasellame prezioso, opere d’arte che risalgono al duemila
avanti Cristo. I mausolei dei Dalai Lama morti sono in lastre
d’oro massiccio, alte nove metri. Le biblioteche contengono
tutti i documenti della civiltà tibetana. I musei, tutte le armi
della sua storia militare. Per visitare tutto, centinaia di saloni, di
cappelle, di stanze, di chiese, ci vogliono anni. E, poiché il
bambino deve visitarli, non esce mai da Potala. Di lì va solo a
Norbulingka dove è accecato da un identico sfarzo. Norbulingka
significa Parco Gioiello: tempietti, palazzette, giardini curati
fino all’esasperazione, pieni di uccelli rari, di fiori strani, di noia
più pesa del piombo. La noia d’essere non solo il capo spirituale
del Tibet ma il capo temporale e, con ciò, dover sostenere gli
impegni del governo, la continua minaccia dell’invasione
cinese. Da secoli la Cina invade il Tibet: per poi abbandonarlo
con qualche trattato e invaderlo ancora.
La lunga fuga vestito da soldato
Il sapiente ragazzino con gli occhiali aveva appena compiuto i
sedici anni che gli oracoli dei conventi cominciarono a rivelare
cattivi presagi, il capitello del pilastro su cui s’era formato il
magico fungo andò improvvisamente in frantumi. Da una testa
di drago del tempio principale sgorgarono gocce d’acqua che
certo eran lacrime. Animali mostruosi vennero alla luce da
bufali e vacche, terremoti inghiottirono interi villaggi. E gli
astrologi dissero che l’antica profezia secondo la quale «una
grande potenza del Nord avrebbe conquistato il paese
distruggendone la religione e imponendo la sua egemonia al
mondo intero» stava per avverarsi. Dopo pochi giorni, era
l’ottobre del 1950, le truppe di Mao Tse-Tung attaccavano in sei
punti diversi il confine e Mao Tse-Tung annunciava la decisone