Page 322 - Oriana Fallaci - 1968
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Dharamshala,  cittadina  del  distretto  di  Kangra,  nel  Kashmir.
                Questi  boschi  verdissimi  e  freschi  sono  già  l’Himalaya,  così

                quelle  montagne  coperte  di  neve,  dalle  cime  aguzze  come
                coltelli. A Nord di esse è la Cina, a ovest l’Unione Sovietica. Il

                paesaggio  ricorda  il  Tibet.  Ma  qui  siamo  in  India,  il  Tibet  è
                laggiù.  È  al  di  là  dei  ghiacciai  azzurrini  attraverso  i  quali  il
                giovanotto  fuggì  quasi  dieci  anni  or  sono,  inseguito  dai

                comunisti  cinesi,  coperto  di  umiliazione  e  sconfitta,  affamato,
                malato. Lui che era un dio vivente ed un re, un sacro bambino

                che un popolo intero adorava chinandosi fino a toccare con la
                fronte la terra. È l’ultimo dei Dalai Lama, la linea di una fiaba

                che è morta per non rinascer mai più. Ed io lo ascolto incredula,
                sbalordita,  perché  mi  sta  dicendo  che  gli  piacerebbe  fare  il

                meccanico e che, quanto a idee, be’, sì, almeno a metà sembra
                uno strano maoista.
                    Seguimi  indietro  di  trentatré  anni  e  capirai  il  mio  stupore.

                Nel  Tibet  è  l’Anno  dell’Uccello  dell’Acqua,  e  il  tredicesimo
                Dalai Lama è morto. A Lhasa, la capitale, governa un reggente e

                la folla piange ammassata lungo le sacre mura. Quanto tempo
                passerà  prima  che  i  Saggi  trovino  il  nuovo  Dalai  Lama?  Egli

                dev’essere  la  reincarnazione  del  vecchio:  un  bambino  nato
                quando lui è morto. I Saggi devono cercarlo per tutto il paese,

                visitando ogni villaggio, ogni capanna: ma perché ciò avvenga
                ci  vuole  un’indicazione.  Bisogna  che  una  serie  di  prodigi  li
                guidi, e che il primo prodigio sia compiuto dal morto. Il vestito

                d’oro  e  d’argento,  il  tredicesimo  Dalai  Lama  è  stato  assiso
                un’ultima volta sul trono. Lì se ne sta, puntellato, intirizzito, da

                giorni, e la testa gli cade in avanti: cioè a Sud. Ma d’un tratto
                egli  è  scosso  da  un  brivido,  da  un  soffio  di  vita,  e  la  testa  si
                volta a nord-est.

                    Nello stesso momento strane nuvole appaiono nel cielo terso,
                e vanno verso nord-est. Poi un fungo a forma di stella si forma

                sopra  un  pilastro  del  tempio  a  nord-est  e  il  reggente  ha  una
                visione. Sulle acque del lago dove sta meditando, si è formata a

                nord-est l’immagine di un monastero col tetto di giada e di oro;
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