Page 319 - Oriana Fallaci - 1968
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aveva preso Banerjee e ci voleva qualcosa per me. Avevo un bel
dirgli «via, non importa, non si scomodi, basta così». Gli son
riprese le doglie e ho dovuto aspettare che partorisse il secondo
miracolo. In modo nuovo, però. Agitando un pugno da destra a
sinistra, da sinistra a destra: per seguirlo la mia testa ondeggiava
come alle partite di tennis. Poi il pugno s’è aperto e sulla palma
giaceva un ovetto di ambra. Che ora stringo tra le dita, dopo
averlo lavato s’intende, e che guardo pensando al mio amico
Raffaele. Il mio amico Raffaele è un prestigiatore fantastico, e
quando fa il trucco delle cinque lire è addirittura superbo.
Perché se ne sta immobile, zitto, ti mostra le sue palme vuote
con una tal compostezza che dovresti notare per forza il
momento in cui le cinque lire vi scivolan sopra arrivando dalle
maniche della giacchetta. Invece non te ne accorgi. L’ho detto
anche a Banerjee, quando Shanti Baba s’è infilato gli occhiali
ed è andato via. Oddio, avevo dimenticato di notare che Shanti
Baba porta gli occhiali. Pazienza, torniamo a Raffaele e a
Banerjee. Ho chiesto a Banerjee se vuole esaminare Raffaele
quando produce le cinque lire dal nulla: potrebbe cavarne un
rapporto per l’Istituto di parapsicologia e poi inviarne copia
all’Accademia delle scienze sovietiche, alla NASA. Potrebbe
anche prendersi le cinque lire, serbarle in cassaforte con la noce
moscata. Banerjee se n’è avuto a male. Ha risposto che non
capirò mai l’India perché non mi renderò mai conto che
l’universo si muove al di là di confini fisici, l’elemento
spirituale lo guida eccetera. E poi ha detto che resterò sempre un
corpo senz’anima, un cuore senza gratitudine: dopotutto Shanti
Baba m’ha dato un ovetto di ambra, e l’ambra costa. Sarà. Ma
Raffaele è più bravo di lui.
SABATO. Il mio viaggio nel mondo dello spirito è così concluso.
Sto volando a Jaipur insieme a Banerjee che non mi parla più.
In compenso non fa che ammirare la scatola dove ha chiuso il
suo mango, che intende aggiungere al materiale documentario
dell’università. Ma un mango non va a male? Vorrei proprio