Page 312 - Oriana Fallaci - 1968
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Baba. Capisci, se non vedo la materializzazione stavolta, non la
                vedo più: perché in India non ci rimetto più piede. Chi mi ridà il

                visto dopo quello che ho scritto? Patna, detta anche Pataliputra.
                Fu fondata nel trecento avanti Cristo, chissà com’è bella. Sono

                certa che il mio spirito ne uscirà rigenerato.


                VENERDÌ  ORE 12. Siamo a Patna, senza la moglie. Lei voleva

                venire, anzi lo ha posto come condizione, ma nottetempo è stata
                colta da un violento attacco di febbre in seguito alla scenata che

                aveva  fatto:  così  è  rimasta  a  letto,  lanciandoci  maledizioni.
                Speriamo che non ci arrivino: durante il viaggio ho avuto paura
                che fossero di quelle efficaci. Un aeroplanino così, dentro una

                tempesta di sabbia. Per quattr’ore ho rimpianto il Vietnam, è più
                sicuro di un aeroplano per Patna. Comunque ce l’ha fatta. A un

                certo punto abbiamo visto dall’alto tre o quattro casacce e quella
                era Patna. Dio com’è brutta. E com’è brutto l’albergo dove mi

                ha  portato  Banerjee.  Il  migliore  della  città.  Nel  registro  degli
                ospiti  d’onore  c’era  la  firma  di  Marina  Cicogna.  Ma  che  ci

                faceva Marina Cicogna in un posto così? Che cercasse anche lei
                la pace dello spirito? Io per ora non ce l’ho trovata. Ho trovato
                solo  scorpioni,  tarantole  e  scarafaggi  grossi  come  tartarughe:

                tutti sparsi sui muri e il soffitto di camera mia. Mi hanno dato
                una scopa per ammazzarli. Li ho rincorsi su e giù badando che

                non mi saltassero addosso e ne ho schiacciato uno solo. Ha fatto
                uno scoppio come se si fosse rotto un bicchiere. Che c’entra con
                la materializzazione, dirai. Non c’entra. O c’entra nella misura

                in cui sento che non uscirò bene da questa storia di Patna. Sono
                depressa.



                ORE  15.  Sono  felice.  L’abbiamo  trovato.  Alla  svelta.  Nel  suo
                tempio che non è proprio un tempio ma un cortile con una dea

                di cartone dentro una nicchia. Intorno stavano i fedeli, che erano
                un branco di vagabondi, e nel mezzo stava lui che è un vecchio

                orribile, con una enorme protuberanza a sinistra del ventre: una
                specie di palla per cui lo diresti incinto a sinistra. Infatti sedeva
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