Page 272 - Oriana Fallaci - 1968
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lui  non  pronunciò  una  parola.  È  rimasto  qui  un  mese  e  in  un
                mese non abbiamo parlato che di lavoro. Sul lavoro era perfetto:

                veniva alle dieci di sera, se ne andava alle dieci di mattina, e
                non ho mai avuto un pretesto per lamentarmi di lui. Scrupoloso,

                onesto. E poi sveglio. Molto sveglio. Imparava alla svelta. Mi
                dispiacque che andasse via. Ma un giorno disse che aveva vinto
                molti soldi coi cavalli e con quei soldi voleva tornare a studiare.

                Credo  pensasse  all’università.  Era  tanto  spilorcio.  Metteva  da
                parte tutto ciò che guadagnava, non ti offriva un caffè nemmeno

                se crepavi. Però con i cavalli non era spilorcio, ci puntava cifre
                incredibili, e quando vinceva mostrava quei rotoli di biglietti da

                cento che sembrava una banca. Strano tipo, in fondo. Sempre
                pulito,  sbarbato,  elegante,  ma  non  lo  vedevi  mai  con  una

                ragazza.  Il  suo  delitto  non  lo  so  giudicare.  Quando  mi  hanno
                detto che l’assassino era lui, ho esclamato: “Scherzate?”.»



                Questo è il racconto di John H. Weidner. Era sabato pomeriggio
                e di sabato il signor Weidner non lavora perché appartiene alla

                Chiesa Avventista per cui il sabato è il giorno del Signore e non
                si  lavora.  Di  sabato  non  si  danno  nemmeno  interviste  perché
                dare  interviste  è  lavoro,  in  quanto  è  un  impiego  di  energia.

                Malgrado  ciò,  e  considerato  che  ricevendomi  «esaudiva  un
                dovere civico», l’intervista è avvenuta. Di sabato. È necessario

                dir  questo  per  spiegare  la  personalità  di  John  Weidner,  il  suo
                rigore. Un uomo come John Weidner non racconta bugie.



                JOHN WEIDNER: «Prima i fatti, nudi e crudi, riferirò dopo i fatti i
                discorsi  che  ci  furono  tra  noi,  l’esame  della  sua  personalità.

                Sirhan Bishara Sirhan venne a lavorare da me il 24 settembre
                dell’anno  scorso  e  rimase  fino  al  7  marzo  di  quest’anno.  Lo
                conobbi attraverso sua madre che viveva a due blocchi dal mio

                negozio al 1380 di North Lake Avenue ed era una buona cliente,
                una  dolce  signora  educata.  Conoscevo  anche  la  figlia  che  nel

                1967  morì  di  cancro:  una  ragazzina  adorabile.  La  madre  mi
                disse  che  Sol  (lo  chiamava  Sol  e  anche  noi  lo  chiamammo
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