Page 266 - Oriana Fallaci - 1968
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pecorella smarrita. Non che si trovassero d’accordo su nulla: li
                divideva una generazione, l’odio che Sirhan portava agli ebrei,

                ma con Weidner il ragazzo aprì il suo cervello e il suo cuore.
                Discusse,  parlò,  litigò.  E  Weidner  è  oggi  uno  dei  pochi

                testimoni che possano fornirci il vero ritratto di Sirhan Bishara
                Sirhan. Che è come dire il ritratto di un secondo Oswald.
                    Per un gioco del destino o del caso, i due assassini dei due

                fratelli Kennedy hanno molto in comune. A cominciare dal loro
                aspetto  fisico:  così  mingherlino,  bruttino.  A  cominciare  dalla

                loro timidezza introversa che li spingeva a confessare progetti e
                tristezze  a  un  diario.  A  cominciare  dai  loro  complessi  di

                inferiorità  con  le  donne,  la  loro  incapacità  a  conquistarle.  A
                cominciare dalla loro sottomissione alla madre, l’influenza che

                la  madre  ebbe  su  loro.  A  cominciare  dalla  loro  intelligenza
                avvilita, sciupata da letture confuse, male assimilate, caotiche.
                Sembrano nati dalla stessa maledizione, quei due, dalla stessa

                tragedia:  né  il  fatto  che  Oswald  fosse  americano,  Sirhan  sia
                giordano,  influisce  se  si  pensa  che  un  ragazzo  trapiantato  a

                tredici  anni  in  America,  anzi  in  California,  qui  educato  e
                cresciuto, è ormai più americano che giordano, più californiano

                che  arabo.  Non  c’è  paese  al  mondo  che  inghiotta  quanto
                l’America e non c’è regione in America che contagi quanto la

                California: terra di emigrati, di sradicati, di avventurieri privi di
                idee  precise.  Entrambi  incompresi  dal  mondo,  entrambi  soli  e
                infelici, Oswald e Sirhan sono il tipico prodotto di un paese in

                apparenza  beato,  in  realtà  disperato.  Entrambi  deboli  e
                insoddisfatti,  entrambi  ignoranti  e  incoerenti,  sono  l’ultimo

                risultato  di  una  società  la  cui  mancanza  di  ideali  e  la  cui
                devozione  al  benessere  conduce  allo  scontento  e  poi  alla
                violenza,  malinconicamente  dimostra  che  non  si  può  vivere

                senza religione, senza cultura, senza radici. Sicché entrambi li
                avrebbe salvati l’indifferenza nella quale galleggiano i vili per

                cui l’automobile e il salario alla fine del mese sono ragione di
                vita. Ma non erano indifferenti perché non erano vili, sognavano

                di  fare  qualcosa,  diventare  qualcuno,  dare  un  senso  alla  loro
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