Page 261 - Oriana Fallaci - 1968
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un’organizzazione religiosa.
                    Saidallah  parlava  senza  farsi  pregare,  gli  investigatori  lo

                ascoltarono  per  più  di  due  ore,  e  così  seppero  che  Sirhan
                Bishara Sirhan aveva ventiquattro anni, che non disponeva di un

                mestiere  fisso  e  faceva  ora  il  fattorino  ora  lo  stalliere  ora  il
                benzinaro,  che  s’era  sempre  distinto  per  buona  condotta,  che
                nessuno in casa poteva spiegarsi come all’improvviso si fosse

                macchiato  di  un  crimine  così  pazzo  ed  orrendo:  bisognava
                vedere  la  madre  per  rendersi  conto.  Giaceva  in  preda  ad  una

                disperazione selvaggia, singhiozzava: «Non è possibile, il mio
                bambino, non è possibile, il mio bambino così buono, così mite,

                così gentile».
                    Davvero? Gli investigatori corsero al 696 East Howard Street

                di  Pasadena,  l’indirizzo  fornito  da  Saidallah.  Interrogarono  la
                madre  che  trovarono  sbalordita  ed  incredula  come  Saidallah
                affermava e frugando tra gli oggetti di Sirhan trovarono anche

                qualcosa di più: un diario scritto a mano, metà in arabo e metà
                in inglese, da cui risultava che quel «bambino mite» non era poi

                così mite. Il  diario, punteggiato  di esclamazioni  «lunga vita  a
                Nasser!» narrava infatti di un fanatico odio per gli ebrei e per

                chiunque  ammirasse  gli  ebrei;  un  ancor  più  fanatico  odio  per
                Bob Kennedy «che proteggeva Israele». Nelle ultime pagine, a

                un certo punto, diceva: «È necessario ammazzare Bob Kennedy
                entro il 5 giugno». Il 5 giugno era l’anniversario della guerra fra
                Egitto,  Giordania,  Siria  e  Israele.  Ammazzarlo  per  iniziativa

                personale  o  per  incarico  di  qualcuno?  Comunque  fosse,  la
                faccenda si complicava, raddoppiava l’opportunità di mantenere

                Sirhan  Bishara  Sirhan  ben  vivo  fino  al  processo.  E  da  quel
                momento  le  precauzioni  aumentarono,  Sirhan  divenne  oggetto
                della più straordinaria, paradossale cura di cui un detenuto abbia

                mai usufruito nella storia degli Stati Uniti.
                    Da  quel  momento,  chiuso  in  una  cella  dell’infermeria  al

                secondo  piano  della  prigione  centrale  a  Los  Angeles,  egli  è
                sorvegliato,  spiato,  protetto  da  un  guardiano  che  non  si

                allontana  da  lui  oltre  il  mezzo  metro:  neanche  se  volesse
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