Page 263 - Oriana Fallaci - 1968
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Era  una  livida  giornata  di  freddo:  per  un  fenomeno
                meteorologico,  a  Los  Angeles  giugno  diventa  un  mese  quasi

                invernale.  Il  giudice  Alarcon  doveva  contestare  a  Sirhan  le
                accuse di assassinio, e tale udienza di regola avviene in un’aula

                di  tribunale.  Il  timore  che  Jack  Ruby  resuscitasse  era  così
                grande,  però,  che  fu  deciso  di  non  muovere  Sirhan  dalla
                prigione  e  come  aula  fu  scelta  la  cappella  dove  si  officia  la

                messa. Per lo scanno, si ricorse all’altare. Il crocifisso fu tolto
                dalla parete, le panche con gli inginocchiatoi furono usate per il

                pubblico  ammesso  e  la  stampa.  Poliziotti  stavano  ovunque,
                lungo  i  muri  e  dinanzi  alle  porte,  chiunque  entrava  era

                perquisito  fino  agli  indumenti  più  intimi,  ogni  oggetto  gli
                veniva  tolto  di  mano:  borse,  cartelle,  macchine  fotografiche,

                macchine da presa, apparecchi da registrazione, qualsiasi cosa
                insomma  potesse  nascondere  ordigni  atti  a  sparare:  penne
                stilografiche comprese. Lo stesso giudice dovette sottoporsi alla

                imbarazzante  ricerca  prima  di  sedersi  dietro  l’altare.  Poi  fu
                chiamata  la  causa  233421  e  un  uscio  si  aprì,  l’uscio  della

                sacrestia.  Quattro  guardie  avanzarono  spingendo  una  sedia  a
                rotelle:  sulla  sedia  era  Sirhan  che  durante  la  notte,  come  un

                bimbo bizzoso, aveva scoperto di non poter camminare e aveva
                preteso  di  venir  trasportato  così,  come  un  invalido.  La

                distorsione  alla  caviglia,  capisci.  La  caviglia  era  fasciata  con
                una  benda,  bianca,  voluminosa.  Anche  il  dito  fratturato  era
                fasciato con una benda bianca, voluminosa, ed entrando egli lo

                teneva ben dritto: onde ricordarci che era stato picchiato.
                    Sorrideva,  orgoglioso,  i  suoi  occhi  ci  fissavano  ironici,

                provocatori,  insolenti,  e  niente  in  essi  trapelava  rimorso  o
                incertezza  o  dolore.  «Il  suo  nome  è  Sciran  Bisciara  Sciran?»
                chiese  il  giudice  leggendo  il  suo  nome  all’inglese.  «Non

                cominciamo con la pronuncia sbagliata. Il mio nome è Sirhan
                Bishara Sirhan e va letto come si legge in Giordania.» «Conosce

                i  suoi  diritti  costituzionali?»  continuò  il  giudice  educato,
                paziente.  «Li  conosco  benissimo,  vada  pure  avanti.»  Allora  il

                giudice lesse il capo d’accusa che Sirhan ascoltò senza muovere
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