Page 23 - Oriana Fallaci - 1968
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su lui che ha ammazzato i tuoi amici. Tre uomini m’ha
ammazzato questo ragazzo. Con una granata sola. E magari se
lo incontravo a un bar di New York lo trovavo simpatico, e mi
mettevo a discuter con lui sul comunismo e sul capitalismo, e
poi lo invitavo a mangiare. Dio, che cosa schifosa è la guerra.»
«Allora perché la fa, capitano?» «È il mio mestiere. Lo scelsi
perché mi piaceva lavorare con gli uomini, mi sembrava di fare
il maestro, io ero un maestro. Quando diventi un militare non ci
pensi mica che in fondo il tuo mestiere è uccidere. Poi viene il
momento di uccidere e ti assale come uno stupore, senti come
uno strappo, ma è ormai troppo tardi: se non uccidi sei ucciso.
Nel momento estremo non ti guida il dovere, non ti guida il
coraggio, ti guida la paura. Certo che avevo paura, anche tre
giorni fa. Prima della battaglia io ho sempre paura, ogni volta è
la prima volta. E ogni volta penso che non voglio morire, voglio
tornare a casa dove ho quattro figli. Eppure vado avanti. Grido
ai miei uomini di non avere paura e vado avanti. Che cosa
schifosa è la guerra.»
Siamo andati in giro per le trincee, trattenendo il fiato a
causa del fetore. Erano trincee molto piccole perché i vietnamiti
sono sempre piccoli o hanno bisogno di pochissimo spazio. Però
eran trincee fatte bene, con intelligenza e gran senso strategico.
Erano sei, giravano intorno alla collina in cerchi concentrici ed
erano unite fra loro con sottopassaggi. Le più vecchie avevan
sei mesi. Da sei mesi i bambini gialli scavavano, zitti zitti, come
i topi, sotto gli occhi degli americani, e gli americani non
s’erano accorti di nulla. Se il disertore non avesse tradito,
sarebbe successa una carneficina. «E malgrado lui, che battaglia
dura. Partimmo alle nove del mattino e non fummo in cima che
alle sei del pomeriggio. Procedevamo albero per albero,
macchia per macchia, bambù per bambù. Per andare da qui a
quella liana, quanti metri saranno, quindici al massimo, ci
mettevamo un’ora. Due ore. Vede che terreno ripido. Loro
stavano sopra e potevano guardarci in gola fino alle tonsille.
Giunto a questi bambù, chiesi gli aerei, col rischio d’essere