Page 22 - Oriana Fallaci - 1968
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tutti. Sebbene il metodo sia sbrigativo: li butti in una trincea e
                poi copri la trincea con la terra. «Capitano, quante vite è costata

                questa collina?» «Io ho perso solo sette uomini ma di vietnamiti
                ne ho contati sessanta. Di sicuro eran molti, molti di più: quelli

                che noi troviamo son quelli uccisi da ultimo. Gli altri li portano
                via prima di ritirarsi, legandoli ai piedi con le funi. Preparano le

                funi  prima  della  battaglia,  sono  coraggiosi.  O  dovrei  dire
                suicidi, fanatici? Li ho visti sotto un bombardamento al napalm:

                uscivano dai bunker e tentavano di sparare coi fucili agli aerei.
                Come i giapponesi della Seconda guerra mondiale. Diresti che
                non gli importa di morire, anzi che voglion morire. Io non so

                cosa li muova.»
                    Allora ho guardato il ragazzo giallo che giaceva contorto e

                coperto  di  sangue  dentro  una  trincea.  Non  c’era  nulla  di
                fanatico,  di  suicida,  sul  suo  viso  tondo  e  inerme.  Sembrava,
                anzi, che sorridesse. Dio, ma a cosa? L’ultima cosa che aveva

                visto era un George o un Larry che avanzavano col loro terrore
                e gli sparavano addosso, per non morire essi stessi. Dal giorno

                in  cui  era  nato,  forse  diciassette,  forse  diciotto  anni  fa,  non
                aveva visto che guerra. Prima la guerra ai francesi, poi la guerra

                agli americani, in questa sua terra dove c’era sempre qualcuno
                che non doveva esserci, perché all’inferno il comunismo, il non

                comunismo, lui era morto per la sua terra, e quella collina gli
                apparteneva, come le altre colline, le pianure e i fiumi, e ciò lo
                rendeva  ricco,  vittorioso  e  ricco.  Anche  se  aveva  sempre

                ignorato cosa significa vivere in pace. Quella misteriosa parola
                che tutti gli dicevano, pace.

                    Una  lucertola  gli  è  andata  su  un  occhio.  «Non  guardi,»  ha
                detto il capitano «venga via, Dio che cosa schifosa è la guerra.
                Dev’esserci  qualcosa  di  sbagliato  nel  cervello  di  quelli  che  si

                divertono a fare la guerra, che la trovano gloriosa o eccitante.
                Non c’è nulla di glorioso, nulla di eccitante, è solo una sporca

                tragedia  e  se  hai  un  poco  di  cuore  piangi  sempre  quando  la
                battaglia è finita. Piangi su quello cui negasti una sigaretta ed è

                morto, su quello che rimproverasti ed è morto, piangi per fino
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