Page 21 - Oriana Fallaci - 1968
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nessuno, lo dico a lei perché devo dirlo a qualcuno, se non lo
dico divento pazzo, e poi… ecco… poi fui così felice che il
razzo avesse preso lui anziché me. Dio, mi vergogno. Quanto
mi vergogno. Ma è così. E se in questo momento arriva un altro
razzo, lo sa che le dico? Spero che prenda lei anziché me.
Brutto, vero?» «Non lo so, George. È la guerra.» «E poi
ammazzai un uomo. Era un piccolo viet. Correva, correva, e gli
sparavano tutti. Sembrava d’essere al tirassegno di un luna park.
Gli ho sparato io ed è caduto. Ma è stato come sparare a un
albero, non ho sentito nulla, sai, nulla. Brutto, vero?» Non lo so,
George, è la guerra.
Il ragazzo giallo giaceva contorto nella trincea
MARTEDÌ POMERIGGIO. Da una tenda è sbucato il capitano
Scher ed è venuto a sedersi con noi. Anziché alzarsi in piedi i
soldati hanno detto: «Ciao, Don». Donald Scher ha trentasei
anni, è bello come Tyrone Power quando Tyrone Power era
davvero bello, ha la disinvoltura di chi ha girato il mondo e vive
a New York. Conosce Londra, Parigi, Roma dove abitava
quand’era alla NATO e il suo sketch preferito è sugli italiani
che guidano. Sostiene di preferire un bombardamento di mortai
al traffico di Roma: una volta al Tritone ebbe una crisi di panico
e non riusciva più a muoversi, i romani gli gridavan cornuto.
Dopo lo sketch sugli italiani abbiamo mangiato una razione C,
pollo disossato, dolce alla panna, caffè, e dopo mangiato lui ci
ha condotto sulla cima della collina: con l’elicottero perché a
piedi avremmo trovato mine e vietcong. Quando l’elicottero s’è
abbassato, m’ha detto: «Non salti lì». Ho calcolato male le
distanze e sono saltata proprio lì, affondando su qualcosa di
molle. Ho udito la sua voce irritata: «Cielo avevo detto di non
saltare lì!», e poi mi sono accorta di tenere i piedi sul cadavere
di un vietnamita appena coperto di terra. I cadaveri qui sono
ovunque, dopo tre giorni e mezzo non li hanno ancora sepolti