Page 16 - Oriana Fallaci - 1968
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inciampa, gli MP lo sollevano, e per un attimo i suoi piedini
nudi pendono giù grotteschi. Forse fu lui a ordinare la giacca
ricamata che vidi da un sarto a Saigon. Il ricamo diceva:
«Quando morirò andrò in Paradiso perché su questa terra ho
vissuto all’Inferno. Vietnam, 1967». Però era una giacca
americana. E le parole ricamate, in inglese.
Dieci piloti partono ne ritornano due
LUNEDÌ NOTTE. La sensazione che hai in questo campo è
d’essere chiuso in un pozzo, cioè in trappola. Le colline dei
nordvietnamiti ti circondano proprio a raggiera e solo tre sono
in mano degli americani: la 1383, la 1121 e la 1089. Notte e
giorno sei esposto al fuoco dei mortai, dei razzi, questo buco a
trenta centimetri dalla nostra tenda lo ha fatto stamani un
mortaio. Veniva dalla collina 875, quella che non riescono a
a
prendere: la notte scorsa la 173 airborne aveva l’ordine di
arrivarci in cima a ogni costo ma l’attacco è fallito. Ho parlato
col pilota di un elicottero, quasi piangeva. M’ha raccontato che
gli uomini sono ammassati in un perimetro angusto da cui non
possono andare né avanti né indietro: i nordvietnamiti li
circondano da tutte le parti, sono dietro a ogni albero. In quel
mucchio di carne umana vi sono almeno cento morti e altrettanti
feriti, nel buio gridano supplicando acqua e morfina. Il sole
decompone i cadaveri, molti feriti muoiono dissanguati;
evacuarli è impossibile. Dieci elicotteri ci hanno provato, otto
sono stati abbattuti, questo pilota è uno dei due che son riusciti a
tornare. «Capisce, non ci si muove che con gli elicotteri in
questa giungla maledetta. Il terreno è troppo ripido, pieno di
bambù e di liane, per far cento metri ci si mette due ore, e i
nordvietnamiti vi si muovono invece come i gatti.» «E i
sudvietnamiti dove sono?» «Non ci sono. Chi li ha mai visti? Ci
sono solo americani a Dak To.» I soldati al campo hanno
un’aria cupa, arrabbiata. Mi sono affacciata a una tenda e un