Page 13 - Oriana Fallaci - 1968
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che  li  scuota  dalla  noia?  Una  pallottola  che  risolva  un  loro
                dolore? Un’imitazione di Hemingway? Ho tentato un’indagine,

                uno ha risposto: «Voglio dimostrare a mio padre di non essere il
                cretino  che  dice».  Un  altro  ha  risposto:  «Mia  moglie  ha

                divorziato». Un altro ha risposto: «È eccitante e, se fai la foto
                giusta, sei a posto per sempre». Quasi nessuno m’ha dato la sola
                ragione che a me sembra valida: «Sono qui per capire».

                    Io sono qui per capire, per sapere cosa pensa un uomo che
                ammazza  un  altro  uomo  che  a  sua  volta  lo  ammazza:  senza

                conoscerlo. Sono qui per provare qualcosa a cui credo: che la
                guerra è inutile e sciocca, la più bestiale prova di idiozia della

                razza terrestre. Sono qui per spiegare quanto è ipocrita il mondo
                quando  si  esalta  su  un  siero  che  curerà  il  cancro,  o

                sull’operazione chirurgica che sostituisce un cuore con un altro
                cuore: mentre migliaia di creature giovani e sane, senza cancro,
                col  cuore  a  posto,  vanno  a  morire  come  animali,  vacche  al

                macello.  C’è  la  guerra  da  tre  anni  in  Vietnam  e  la  gente  che
                piange su Washkansky dice: «Uh, che noia». Ci si massacra da

                venti giorni a Dak To, e la gente che prega sorride: «Davvero?».
                Dak To è un villaggio situato a dieci miglia dal confine col Laos

                e la Cambogia, proprio dove sbocca la pista Ho Chi Minh: vale
                a  dire  la  strada  da  cui  arrivano  i  rifornimenti  di  Hanoi  alle

                formazioni  vietcong  e  alle  truppe  nordvietnamite  infiltrate  nel
                Sud. Verso la fine di ottobre a Dak To c’era solo un battaglione
                di  americani  con  una  base  aerea,  minuscola.  Poi  un  disertore

                nordvietnamita  rivelò  che  i  suoi  compagni  erano  riusciti  ad
                ammassare sulle colline intorno a Dak To ben settemila soldati e

                con  questi  si  accingevano  a  sferrare  l’attacco.  Il  generale
                Westmoreland reagì concentrando diecimila fra paracadutisti e
                soldati, il 1° novembre ebbe inizio la più sanguinosa battaglia

                combattuta  fin  oggi  in  Vietnam.  A  Saigon  si  dice:  «O  gli
                americani vincono entro sette giorni o Dak To diviene la loro

                Dien  Bien  Phu».  Non  è  facile  obbedire  al  consiglio  che  un
                amico  della  France  Presse,  François  Pelou,  mi  ha  lasciato  in

                albergo con un bigliettino: «N’aie pas peur».
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