Page 15 - Oriana Fallaci - 1968
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che decollano o atterrano in una tempesta di polvere rossa, un
                fragore che spacca gli orecchi. Centinaia di camion e di jeep che

                trasportan  soldati  dalla  barba  lunga  e  lo  sguardo  stanco.
                Postazioni  di  artiglieria  che  vomitano  cannonate  ogni  trenta

                secondi facendo tremare la terra e il tuo stomaco. Eppure come
                doveva  esser  bello  il  Vietnam  quando  non  c’era  la  guerra.  I
                monti  dove  ora  si  muore  son  blocchi  di  giada  e  smeraldo,  il

                cielo dove ora schizzan le bombe è una cappa color fiordaliso, e
                il fiume che ora serve a spegnere gli incendi ha un’acqua così

                limpida,  fresca.  Come  doveva  essere  facile  sentirsi  felici
                quaggiù, andando a pescare sulle rive, a passeggiare nei boschi.

                Poi  un  tenente  ci  viene  incontro  e  ci  offre  una  rivoltella
                ciascuno. «Badate, ve la consiglio, quasi tutti i corrispondenti ce

                l’hanno,  chiunque  porti  l’uniforme  è  un  bersaglio:  i
                nordvietnamiti  non  fanno  prigionieri.  Se  dovete  crepare,  tanto
                vale  che  vendiate  cara  la  vostra  pelle.»  E  sembra  molto

                sorpreso,  anzi  offeso,  quando  gli  rispondiamo  «no,  grazie».
                Povero tenente. Ha due baffetti cretini su un muso di topo, e un

                elmetto  che  sembra  nato  con  lui.  Infatti  non  lo  vedremo  mai
                senza  e  un  giorno  gli  chiederò  se  ci  dorme.  È  addetto  alla

                stampa, nella tasca dei pantaloni tiene una scatola di fotocolor
                che mostra a ogni nuovo arrivato: la sua fidanzata in camicia da

                notte  e  senza  camicia  da  notte.  La  mostra  anche  a  me,  è  una
                bionda cicciuta con due grossi seni, mi spiega che la fotografò
                durante una licenza a Honolulu. Parlando ci conduce alla tenda

                dei giornalisti ma prima di entrarci faccio in tempo a vedere due
                MP  che  trascinano  un  soldatino  giallo  in  uniforme  kaki.

                Cammina perché lo sostengono, ha i piedi scalzi, la bocca aperta
                e  le  palpebre  chiuse.  Ha  sì  e  no  diciott’anni,  lo  hanno  preso
                stamani sulla collina 1383, era svenuto di fame e di sete. «Dove

                lo  portano,»  chiedo  «all’infermeria?»  «No,  no,»  spiega  il
                tenente «lo portano all’interrogatorio e poi ad incidere un disco

                da trasmettere con l’altoparlante sulle colline.» «E cosa inciderà
                su quel disco?» «Inviterà i suoi compagni ad arrendersi.» «E se

                lui  non  vuol  farlo?»  «Oh,  lo  farà,  lo  farà.»  Il  prigioniero
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