Page 14 - Oriana Fallaci - 1968
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I viet sono come gli Apache e i Cheyenne


                LUNEDÌ  POMERIGGIO.  Invece  è  facile.  La  paura  ti  passa,  di

                colpo, con la paura degli altri. L’elicottero su cui siamo saliti
                alla base di Pleiku, ultima tappa prima di Dak To, ha posto per

                quattro  persone  oltre  i  due  piloti  e  i  due  mitraglieri.  Uno  dei
                quattro è un telecronista appena giunto da New York. Il suo viso
                ha  il  colore  del  gesso,  il  suo  corpo  è  scosso  da  un  tremito

                convulso, e tutte le sue dieci dita sono ficcate dentro la bocca
                dove tutti i suoi trentadue denti le mordono furiosamente. Dopo

                pochi minuti si alza, batte alle spalle di un pilota, lo scongiura
                invano di tornare indietro, e provi tanta vergogna per lui che di

                colpo  sei  un’altra  persona.  Tranquilla,  lucida,  con  ogni  tuo
                nervo  pronto  a  scattare  per  salvarti  la  pelle.  Puoi  perfino

                osservare  con  curiosità  le  colline  a  sinistra  da  cui  si  alzano
                fumate  nere,  il  napalm  che  gli  americani  sganciano  sui
                nordvietnamiti, poi le colline a destra da cui si alzano fumate

                bianche,  le  bombe  che  i  nordvietnamiti  lanciano  sugli
                americani:  ben  consapevole  che  ci  stai  passando  nel  mezzo,

                come  sotto  un  arcobaleno,  sorvolando  la  giungla  dove  sono
                nascosti i vietcong i quali mirano dritto alle pale dell’elicottero.

                Puoi perfino capire perché questa guerra è una guerra diversa da
                ogni altra guerra che hai studiato a scuola, e perché dicono che

                non ha un fronte preciso, che il fronte è dovunque. Il mitragliere
                dietro di te s’è abbassato sulla mitraglia e spara raffiche contro
                una macchia da cui è partito un colpo appena avvertito. Sembra

                il personaggio di un western dove i bianchi sparano dal vagone
                agli indiani. Anche allora i bianchi tenevano in pugno un paese

                di cui possedevano solo qualche fortino, e per andare da fortino
                a fortino bisognava ammazzare o venire ammazzati. Sostituisci

                alla  parola  fortino  la  parola  base  aerea,  alla  parola  indiani  la
                parola vietcong, alla parola vagone la parola elicottero: ed ecco

                il Vietnam. Ecco il nostro viaggio a Dak To, con quel poverino
                che geme. Siamo a Dak To. Un campo militare con una pista nel
                mezzo, bucata dai mortai di stanotte. Decine di elicotteri e aerei
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