Page 17 - Oriana Fallaci - 1968
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portoricano gridava: «Questo lo zio Sam non ce lo aveva detto.
                Devi combattere il comunismo, gracchia lo zio Sam. Io cosa sia

                questo  comunismo  non  lo  so,  e  non  me  ne  frega  un  corno  di
                saperlo, e non me ne frega un corno dei dannatissimi vietnamiti.

                Se  lo  combattano  da  sé  il  comunismo,  non  c’è  neanche  un
                sudista  qui  fra  noi.  Sì,  aveva  ragione  mio  padre  quando  si

                arrabbiò perché andai volontario. Mio padre è un operaio e sai
                che ti dico? Sono sempre i figli degli operai che vanno a morire

                alla  guerra».  Gli  è  saltato  addosso  il  caporale  e  ha  urlato:
                «Hector, chiudi il becco!». Ma Hector ha continuato a sfogarsi e
                io sono uscita. Ero alla mensa quando è suonato l’allarme.

                    È suonato quando i primi colpi di mortaio erano già caduti
                sul ponte e sulla pista. Sono scappati tutti rovesciando i vassoi, i

                bicchieri di tè, e sono scappata anch’io, con Moroldo, ma era
                molto buio e il bunker non si vedeva. Si vedevano solo sagome
                nere  che  correvano  dandosi  spintoni  e  ripetendo:  «I  mortai,  i

                mortai». A ciascuno chiedevo: «Il bunker, dov’è il bunker?» ma
                nessuno  mi  rispondeva.  Si  diventa  egoisti  alla  guerra.

                L’artiglieria  intanto  s’era  scatenata  con  un  lancio  di  razzi,  il
                cielo  bruciava  fiammate  rosse  in  fuga  verso  le  colline,  non

                distinguevi più tra i colpi in arrivo e i colpi in partenza, d’un
                tratto una mano ha afferrato il mio polso e una voce ha detto:

                «Viens  avec  moi».  Era  François  Mazure,  un  collega  francese,
                con lui e Moroldo mi son tuffata in un bunker pieno di soldati
                cadendoci  a  capofitto.  Siamo  rimasti  un’oretta  nel  bunker,  i

                soldati  ogni  tanto  accendevano  un  fiammifero  sotto  la  mia
                faccia  per  vedere  se  fossi  davvero  una  donna.  I  loro  discorsi

                erano interessanti: parlavano esclusivamente di quelli che sono
                riusciti  a  evitare  il  Vietnam.  Quando  l’allarme  è  cessato  ci
                hanno detto che il ponte era quasi distrutto e che si temeva un

                contrattacco sulla collina 1383. Domattina ci andremo, intanto
                cerchiamo di dormire. Di giorno fa caldo, di notte fa freddo, ma

                il peggio è che le brande sono tutte occupate e bisogna dormire
                per terra. Qualcuno mi ha dato il suo sacco a pelo ma per terra i

                colpi di cannone rintronano come legnate sul ventre. Nel sonno
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