Page 180 - Oriana Fallaci - 1968
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di  Bill  Mac  Coy,  funzionario  australiano  delle  Nazioni  Unite.
                La terza di Luiz Law, autista di piazza. L’obiettività esigerebbe,

                ovvio, anche tre testimonianze di comunisti. Ma i comunisti di
                Macao  non  parlano  coi  bianchi.  Tempo  fa,  alla  Camera  di

                commercio,  si  presentò  un  russo.  Si  vide  sbattere  la  porta  in
                faccia.



                PADRE LUIGI RUBINI. Ma ha visto che porcherie hanno fatto sui
                muri della scuola? I manifesti arrivano al tetto e non si possono

                mica strappare, sa: chi tocca un manifesto va dritto in prigione.
                L’altro giorno un bimbo di otto anni strappò un fogliolino e le
                guardie  rosse  lo  tennero  in  piazza  otto  ore  a  ripetere  senza

                fermarsi: non lo fo più. Piangeva, poverello, piangeva: neanche
                i  genitori  osarono  farsi  avanti.  E  la  polizia  lì  a  guardare.  Ha

                visto  quella  scritta  rossa  all’ingresso?  Vuol  dire:  «La
                rivoluzione di Mao Tse-Tung è giusta». Io ci passai sopra una

                mano di bianco e loro ce la rifecero.
                    Ma  lei  non  si  immagina  mica  l’atmosfera  di  qui:  è  una

                anarchia  totale,  comandano  i  ragazzini.  Vedesse  quando
                arrivano coi manifesti, le scale, i barattoli di vernice e di colla!
                Fanno paura perché sono centinaia, migliaia, sembran formiche.

                Arrivano  e  per  prima  cosa  cantano  le  canzoni  di  Mao.  Per
                seconda cosa leggono in coro i pensieri di Mao. Per terza cosa

                appoggiano le scale ai muri e fanno quel che lei ha visto. Un
                giorno mi entrarono nella scuola, io dissi: fuori fate quel che vi
                pare ma dentro no, è casa mia. Risposero: questa casa è di Mao.

                E giù ad attaccar manifesti. Pensi: anche sui banchi, anche al
                soffitto. Telefonai al governatore, alla polizia. Balbettarono: che

                fanno, che fanno? E nessuno intervenne. Mi toccò aspettare che
                andassero via. Sbarrai le porte e sei ore ci vollero a togliere tutto

                con l’acqua calda.
                    Io  ho  provato  anche  a  ragionarci  con  loro,  perché  parlo

                cinese,  son  stato  trent’anni  in  Cina.  Ma  loro  non  ti  ascoltano
                mica, rispondono: le guardie rosse ragionano solo con Mao. Che
                vuole,  son  ragazzini:  fra  i  tredici  e  i  diciotto  anni.  Neanche  i
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