Page 177 - Oriana Fallaci - 1968
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Donne, gioielli, droghe e tanti pugni chiusi


                Macao dista da Hong Kong un’ora di aliscafo, o quattro ore di

                nave.  Il  turista  che  per  mancanza  di  informazioni  o  follia
                volesse  recarsi  a  Macao  è  consigliato  di  sceglier  la  nave.  È

                ancora quella che gli inglesi usavano per andare a Canton lungo
                il  Fiume  delle  Perle,  e  l’arrivo  nel  porto  è  ubriacante.  Le
                montagne  che  s’alzano  a  neanche  cento  metri  da  te  sono  già

                Cina, la linea di confine sul mare è segnata da una fila di boe
                con la bandiera rossa. Il mare giallo pullula di giunche strette

                l’una  all’altra  come  farfalle  impaurite,  sopra  le  giunche  i
                pescatori sono ancora quelli che vedi ritratti sulle porcellane di

                tremila anni fa. Anche il modo di salutarti gridando e agitando
                le  mani  è  lo  stesso.  Ricordi  quella  fila  di  boe  solo  quando  ti

                accorgi che le mani hanno il pugno chiuso e le grida non sono di
                benvenuto  per  te.  Dicono  «viva  Mao  Tse-Tung!  Lunga  vita  a
                Mao Tse-Tung!». Poi qualche sputo si alza, a fontana, e ricade

                disfatto in mille gocce di odio.
                    Poco più di un anno fa Macao era una tappa quasi doverosa

                per  il  turista  spensierato  di  Hong  Kong.  Ci  venivi  a  vedere
                un’isola che per bellezza ricorda la Riviera italiana. Ci venivi

                per  comprare  donne,  gioielli,  droghe  a  un  prezzo  ancora  più
                basso di quello di Hong Kong. Ci venivi soprattutto pei casini

                da gioco che sorgon su chiatte colorite di draghi, fiori di loto,
                lusso  perverso.  Macao  era  chiamata  la  Città  del  Piacere,
                alberghi e ristoranti eran sempre affollati, le strade eran colme

                di gente come a Las Vegas o sul lungomare di Nizza. Ora esci
                dalla dogana e ti senti come Robinson Crusoe dentro un taxi.

                Non c’è nessuno lungo quelle strade, i ristoranti son vuoti, molti
                alberghi  chiusi.  Poi  arrivi  al  centro  e  di  colpo  il  silenzio  si

                rompe in una esplosione di voci irate: «Shì jiè! Shì nj mèn! Ye
                shi wo mèn di! Dan shi gui gen jiè di!». Chiedi all’interprete

                cosa vuol dire e lui ti spiega che è una canzone di Mao, vuol
                dire: «Oh, nostro grande maestro! Oh, nostro grande capo! Oh,
                nostro supremo comandante! Oh, conduttore di tutte le folle! I
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