Page 173 - Oriana Fallaci - 1968
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comunica  per  mezzo  dei  ferryboat.  Dinanzi  alla  stazione  dei
                ferry, proprio dove sorgeva il poetico albergo dei colonialisti, il

                Metropole, ora c’è il grattacielo che ospita la mostra permanente
                della Cina. Bandiere rosse si tendono al sole, giganteschi ritratti

                di Mao Tse-tung si innalzano sopra le scritte: «La rivoluzione
                non è un invito a pranzo. La rivoluzione è un atto di violenza

                con cui una classe ne rovescia un’altra». Dentro, le commesse e
                i commessi col distintivo di Mao ti vendono merce che viene da

                Pechino,  Sciangai,  Canton,  e  otto  blocchi  di  giada  su  dieci
                riproducono scene della rivoluzione. Soldati col mitra spianato,
                patrioti che spezzano le catene, guardie rosse coi libretti di Mao.

                Otto ricami su dieci riproducono i pensieri di Mao, le frasi di
                Mao, le poesie di Mao, le canzoni di Mao. Nelle sale dove si

                vedono i campioni di riso, gli strumenti chirurgici, le macchine
                agricole, le pareti sono tappezzate coi ritratti di Mao, i busti di
                Mao,  le  fotografie  di  Mao,  e  teatrini  fatti  come  presepi

                raccontano l’arresto di una spia, la fucilazione di un traditore. E
                come devon essere ricchi, anche loro, se posson permettersi il

                lusso  di  vendere  un  braccialetto  di  giada  e  oro  per
                quattordicimila  lire,  un  completo  in  broccato  trapunto  per

                tremilacinquecento lire, una camicetta di seta ricamata a mano
                per  milleduecento  lire,  una  stupenda  collana  d’avorio  per

                ottocento lire. Con gesti esitanti finisci col comprare perfino il
                busto di Mao che a Hong Kong è di moda col detto: «Non si sa
                mai».

                    Non si sa mai perché i negozi comunisti a Hong Kong sono
                trentotto, le scuole comuniste sono trentatré, i cinema comunisti

                sono otto, i giornali comunisti sono cinque, e i comunisti iscritti
                sono duecentomila, i simpatizzanti attivi sono circa un milione.
                Hanno in mano i sindacati dei trasporti, della luce elettrica, delle

                fabbriche più importanti, controllano gli scaricatori del porto, i
                braccianti agricoli, i muratori, i tassisti, i risciò. La massa è con

                loro  non  per  calcolo  economico  o  per  scelta  ideologica:  per
                patriottismo. Qui il comunismo non si nutre di Marx, si nutre di

                xenofobia. Mettiti al posto di un coolie che per centovent’anni
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