Page 169 - Oriana Fallaci - 1968
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E cosa conta per lei, generale Ky, dopo il coraggio?
Avere un ideale. Che è come dire essere intelligenti e avere
coraggio: due cose indispensabili a un ideale. La cultura no: io
non ce l’ho e non ne soffro affatto. Gli uomini di cultura sono
raramente uomini di azione, e comunque non mi sono mai
ritenuto meno intelligente perché non ero colto. Guardi i nostri
contadini: sono più intelligenti dei nostri leader corrotti. È la
sofferenza che dà loro cultura. Sa, quando avevo diciotto anni il
mio sogno era di fare il contadino. Non che possedessi la terra:
mio padre e mio nonno erano stati troppo onesti per lasciarmi
qualcosa. Ma speravo di poterne comprare un pochino e
mettermi a coltivare il riso, ad allevare le bestie. Se i francesi
non mi avessero richiamato alle armi, ci sarei anche riuscito.
Vero è che non si può andare contro il destino. E il mio destino
era che finissi in politica. Lei non crede al destino? Io sì,
ciecamente. Se pensa che non ho mai desiderato fare il mestiere
che faccio, che non l’ho mai cercato, che non mi è mai piaciuto,
che non mi piace. Il giorno, ad esempio, che mi scelsero come
primo ministro. Nessun governo normale resisteva per più di
cinque, sei mesi: ci trovammo intorno a quel tavolo, noi militari,
ci mettemmo a cercare un militare che si assumesse la
responsabilità di un governo e… mi ascolto ancora proporre
Van Thieu, che rifiuta; il generale Thi, che rifiuta; altri che
rifiutano. Avverto ancora stupore alla voce che dice: «Ky, sarai
tu il primo ministro». Provai un grande stupore, poi un’immensa
rassegnazione: come se il destino si fosse abbattuto,
all’improvviso, su me. Se non mi ammazzano, anzi se non
riescono ad ammazzarmi, se riesco a fare la rivoluzione, vorrà
proprio dire che il destino esiste.
Lei potrebbe non riuscirci, generale, pur restando vivo.
Non credo. Per un uomo come me vi sono solo due soluzioni: o
vincere o venire eliminato. Sono un uomo tragico. Ed è già così