Page 150 - Oriana Fallaci - 1968
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bene. «Ma se funzionavano prima» dice qualcuno. «Prima sì e
ora no» dice il maggiore. Quindi si toglie i guanti, scende dalla
cabina, e con un grande sorriso ci annuncia che il volo è
annullato. So che il giorno dopo è partito. So che il giorno dopo
un elicottero CH46 che si recava a recuperare un altro elicottero
è stato colpito a diciassette chilometri da Khe Sanh. La notizia,
pubblicata dalle agenzie, dice che il comandante ha cercato di
prendere quota ma l’elicottero era stato colpito alla pala. Si è
schiantato al suolo ed è esploso. I dieci uomini dell’equipaggio
sono morti tutti. Ho chiesto se il comandante si chiamasse
Brown. Non hanno potuto darmi una conferma. Però chi ha
risposto al telefono, nella Red Room, ha detto che sì, gli
sembrava proprio Brown.
Le tre reclute
Si chiamano Jimmy, Harry, Don. Li incontro all’aeroporto di Da
Nang, dove a mezzanotte sto ancora aspettando un aereo che mi
riconduca a Saigon. I voli militari non hanno orario: possono
esser fissati nel giro di cinque minuti come venir cancellati
quando stai per salire a bordo. A volte aspetti per ore, a volte
anche un giorno o due: in quei capannoni affollati di soldati
stanchi, depressi, ostili. È raro che essi attacchino discorso per
impiegare il tempo: ma Jimmy, Harry e Don sono tre reclute
fresche. Non conoscono ancora il malumore, il rancore. Jimmy
è un gigante grasso che sorride a tutti, anche a quelli che gli
voltano le spalle con gesto di noia. Harry è un giovanottino
pallido con gli occhiali da miope e il pacchetto delle sigarette
sempre teso verso qualcuno. Don è un bel ragazzo dai capelli
biondi e tre denti d’oro. Si divertono da matti perché si sono
persi: da dodici giorni vagano per il Vietnam in cerca del loro
battaglione, che nessuno sa dov’è. Il battaglione è il 135° del
genio civile: almeno così gli dissero quando partirono da San
Francisco. Così gli confermarono quando giunsero a Cam Ranh