Page 122 - Oriana Fallaci - 1968
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proprio sul ciglio, col rimorchio voltato dalla parte della buca,
                spalancano  lo  sportello  posteriore,  sollevano  il  carico  in

                posizione  di  scivolo,  e  poi  rovesciano  giù  venti,  trenta,
                cinquanta  corpi  straziati  che  si  ammucchiano  l’uno  sull’altro,

                disordinatamente,  senza  nome  e  cognome.  Gli  americani  li
                chiamano  «unidentified  bodies»:  i  documenti  che  avevano
                indosso,  ammesso  che  ce  li  avessero,  erano  falsi.  Sicché

                nemmeno i loro compagni, i loro parenti potranno rintracciarli,
                portar loro un fiore. Sono uomini morti due volte.

                    Addosso a uno di questi uomini morti due volte, perduti per
                sempre in una fossa comune di Chi Hoa, hanno trovato in tasca

                un libriccino dai bordi insanguinati. E in questo libriccino era
                scritto, quasi giorno per giorno, il diario degli ultimi nove mesi

                della  sua  vita:  dal  primo  maggio  scorso  fino  alla  vigilia
                dell’attacco  a  Saigon.  La  carta  era  a  quadretti,  la  calligrafia
                minuta.  L’ultima  frase  diceva:  «Tutto  è  pronto  e…».

                Chiaramente interrotta da un ordine: l’ordine di andare a morire.
                    Non  è  affatto  raro  che  addosso  a  un  vietcong,  morto  o

                catturato,  si  trovi  un  libriccino  così.  I  vietnamiti  coltivano
                spesso il costume di confidare a un diario i loro pensieri: non a

                caso  gli  americani  hanno  istituito  un  ufficio  che  si  occupa
                esclusivamente  di  questo  e  raccoglie  tutti  quei  documenti  per

                catalogarli  e  tradurli.  L’ufficio  si  chiama  Vietnam  documents
                and researches notes e dipende dal ministero dell’Informazione.
                Però, entrarne in possesso è difficile e anche leggerli per intero

                assai  arduo.  Di  regola  preferiscono  fornirne  solo  gli  estratti,  i
                medesimi  che  poi  vengono  usati  per  la  contropropaganda.  Il

                libriccino salvato dalla fossa comune di Chi Hoa, ora raccolto in
                trentacinque  fogli  dal  titolo  Memorandum  speciale  numero
                quattro: diario di un vietcong infiltrato dal Nord,  l’ho  potuto

                leggere invece per intero, e tradurre.
                    È il diario di un milite ignoto: il suo nome non appare mai in

                una pagina, anche i cognomi dei familiari e degli amici vi sono
                accuratamente taciuti, le informazioni che dà su se stesso sono

                vaghe.  Di  sicuro  v’è  solo  che  si  tratta  di  un  nordvietnamita
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