Page 121 - Oriana Fallaci - 1968
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                         Il diario di un vietcong caduto a Saigon






                Un altro reportage unico dal fronte vietnamita: Oriana traduce

                il  diario  di  un  vietcong  senza  nome  caduto  nella  battaglia  di
                Saigon.  Un  libriccino  dai  bordi  insanguinati  che  racconta  la

                vita di un uomo dal reclutamento alla partenza verso la morte.


                                                                                  Saigon, febbraio




                Quando un vietcong muore in battaglia, i suoi compagni fanno
                di  tutto  per  portarlo  via:  a  costo  di  trascinarlo  per  miglia,
                attraverso le colline e la giungla. Ma nell’offensiva del Tet (il

                capodanno vietnamita) l’ordine era di non occuparsi dei morti
                né  dei  feriti,  e  nell’offensiva  del  Tet  sono  morti  ben

                trentatremila  vietcong.  Di  questi  trentatremila,  un  terzo  giace
                ancora insepolto, disfacendosi al sole di Saigon, di Da Nang, di

                Hué,  delle  trentasei  città  dove  l’attacco  è  fallito  o  è  stato
                respinto.  Due  terzi  giacciono  nelle  fosse  comuni  scavate  alla

                svelta per ordine delle prefetture di sanità.
                    A  Saigon,  buona  parte  di  queste  fosse  comuni  sono  alla
                periferia  della  città  dove  si  svolsero  e  ancora  si  svolgono  i

                combattimenti  più  duri.  In  quali  punti  esattamente,  forse
                nessuno lo sa. I carri armati ci passano sopra, una volta che sono

                riempite,  per  spianare  la  terra.  Una  parte,  invece,  si  trova  nei
                cimiteri e soprattutto al cimitero di Chi Hoa, nel quartiere Le

                Van  Duyet.  Chi  ha  la  forza  di  recarsi  fin  là  e  seguire  tale
                spettacolo, vedrà che i camion coi vietcong morti vi giungono

                dall’alba al tramonto, con un ritmo tale che i becchini non fanno
                neppure  in  tempo  a  scavare.  Entrano  di  corsa,  si  fermano
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