Page 116 - Oriana Fallaci - 1968
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infuria ancora intorno a Tan Son Nhat, la pista non è ancora
riaperta al traffico, ma per far partire Mazure hanno trovato
perfino un aereo civile. Non vogliono che i corrispondenti
alludano alla vittoria psicologica ottenuta dai vietcong: del resto
lo stesso Johnson continua a ripetere che anche
psicologicamente l’offensiva vietcong è stata un fallimento
totale.
A Cholon abbiamo avuto un bellissimo Tet
Dopo la partenza di Mazure sono stata a Juspao, il centro di
informazioni americano. Sopra i volti spaventati, anzi isterici, i
funzionari agitavano il dispaccio di Mazure come se fosse un
documento blasfemo. Uno ha perso la testa quando, per brevità
di linguaggio, ho usato l’espressione «rivolta di Saigon». Non
c’è stata nessuna rivolta, gridava, nessuna rivolta. È vero. Non
c’è stata nessuna rivolta. Nella gran maggioranza dei casi, se
non sempre, la popolazione ha dormito in un’indifferenza totale.
Però ci sono state due cose: il silenzio prima e l’ammirazione
dopo. Consideriamo il silenzio: è matematicamente sicuro, anzi
è ammesso, che quattromila o diecimila vietcong non avrebbero
potuto entrare in Saigon se qualcuno non li avesse protetti con il
silenzio. Molti devono avere pur visto o notato quelle facce
nuove ed uguali, quell’andirivieni di armi. Qualcuno deve pure
averli aiutati nei due giorni precedenti al Tet: per farli dormire,
per nascondere le armi. I mortai non sono rivoltelle, non si
tengono in tasca. Però nessuno ha parlato. E bastava che uno
parlasse, uno solo. Ora consideriamo l’ammirazione. Essa esiste
anche se Johnson la nega, se il generale Loan la nega, se
Mazure viene espulso: il popolo è così stanco di questa guerra
che non sta, razionalmente, più né con gli uni né con gli altri, è
pronto a passare con la stessa disinvoltura dalla parte degli uni o
degli altri, insomma di chi vince: ma per quei contadini che si
fanno ammazzare dai carri armati e dal napalm perché non