Page 112 - Oriana Fallaci - 1968
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al centro della città, dove gli attacchi fallirono sempre. Fallirono
perché i vietcong fatti arrivare a Saigon erano contadini, perché
non avevano capito, ad esempio, che al centro della città vivono
solo borghesi per cui la guerra e la presenza degli americani
sono un guadagno, gente che non ha certo interesse ad aiutare i
vietcong. Bussavano alle porte delle case, con un sorriso, e
dicevano: «Siamo del Fronte nazionale di liberazione, siamo
venuti a liberarvi». E si vedevano sbattere le porte in faccia.
Oppure si vedevano accogliere e poi tradire: con una denuncia
al telefono. Li tradì anche un prete italiano, il cui nome è
generoso tacere. Chiamò al telefono la polizia e li guardò
fucilare. Al giornalista che gli chiede: «Ma come ha potuto far
questo, reverendo?» «Ma come?» risponde «Io sto con la
legge». E i vietcong stremati, mortificati, decimati, si ritirarono
allora nei quartieri poveri: Già Dinh, Cholon, Phu Tho Hoa. Coi
poveri si intendevano meglio. Coi poveri potevano parlare la
stessa lingua. E infatti sono ancora lì.
Due ore di tempo per evacuare Già Dinh
VENERDÌ, 9 FEBBRAIO. L’operazione pulizia vietcong è guidata
fin dal primo giorno dal generale Loan, quello che ama le rose e
di notte suona Chopin. All’inizio, il generale Loan usava la
tattica semplice della controguerriglia: cacciava i vietcong di
casa in casa e quando ne prendeva uno, o dieci, o venti, li
liquidava con un colpo di rivoltella alla tempia. Ma poi si
accorse che cacciarli di casa in casa era impossibile, i vietcong
si battevano meglio dei suoi poliziotti, e così ricorse ai
bombardamenti. Razzi, mortai, artiglieria, infine napalm. Con
l’intervento degli americani. Il sistema è sempre lo stesso. Si
piazzano altoparlanti e si invita la gente ad evacuare. Massimo,
due ore di tempo. Chi non evacua è evidentemente un vietcong.
Pazienza se fra chi non evacua, si capirà poi, ci sono anche i
vecchi, i sordi, gli infermi, i bambini che all’ultimo momento