Page 107 - Oriana Fallaci - 1968
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Nhat porta al centro della città si snoda lungo i quartieri dove
                sono annidati i vietcong, poche ore prima una jeep di americani

                era  saltata  in  aria  per  una  granata.  Convincerlo  a  darmi  una
                camionetta  è  stato  tutt’altro  che  facile,  il  sergente  che  mi

                accompagnava  insieme  a  una  scorta  armata  aveva  l’aria  di
                odiarmi.
                    Quando  gli  ho  chiesto,  tentando  lo  scherzo,  se  saremmo

                arrivati,  ha  risposto  cupo  «speriamo»  e  ha  lanciato  una
                bestemmia terribile. Siamo arrivati. Ma è stato un viaggio assai

                lungo,  malgrado  sia  durato  solo  venti  minuti.  La  strada  era
                vuota fuorché per pochi camion militari che la percorrevano a

                velocità  pazza.  Entrando  nel  centro  di  Saigon  ho  provato  un
                grande  sollievo.  Anzi,  una  felicità.  L’autista  invece  ha  detto,

                con  un  tono  di  rimprovero:  «E  ora  noi  dobbiamo  tornare
                indietro».
                    Saigon è irriconoscibile. Perfino qui al centro dove non c’è

                distruzione. Il coprifuoco incomincia alle due del pomeriggio e
                tutti i negozi sono chiusi, le finestre sbarrate: diresti che la gente

                ha paura di affacciarsi, di scorgere il sole. Nelle strade dove non
                cammina  nessuno  passano  solo  gli  automezzi  militari  con  le

                mitraglie  puntate,  pronte  a  sparare.  A  volte  transita  qualche
                convoglio,  qualche  carro  armato,  e  il  rumore  dei  cingoli  che

                spaccano l’asfalto è il solo rumore che giunga ai tuoi orecchi
                insieme  al  rombo  dei  caccia,  allo  scoppiettare  degli  elicotteri,
                all’esplodere  delle  cannonate:  si  bombardano  zone  a  neanche

                dieci minuti da qui. Sparita quell’atmosfera vivace che rendeva
                Saigon  un’oasi  di  compromesso,  di  vita,  un  fortino  pressoché

                inattaccabile, qui siamo ormai in prima linea. Ogni incrocio è
                interrotto  da  barricate  di  filo  spinato  e  le  sentinelle  sparano  a
                vista  su  tutto  ciò  che  si  muove.  Poco  fa,  rientrando

                nell’alberghino  dove  sono  riuscita  a  trovare  un  letto,  ho
                rischiato  di  farmi  ammazzare.  Il  coprifuoco  per  i  giornalisti

                incomincia  alle  sette  di  sera,  erano  le  sette  e  cinque  e  il  filo
                spinato mi circondava da tutte le parti: non riuscivo a trovare il

                buco attraverso il quale ero passata. Una sentinella ha puntato il
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