Page 106 - Oriana Fallaci - 1968
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Sono tornata a Saigon in fiamme
Il 7 febbraio è già di ritorno a Saigon, con un aereo militare da
Bangkok: non c’è altro mezzo di trasporto per entrare nella
città assediata dai vietcong. In un diario racconta la battaglia, i
cinque giorni più sanguinosi della guerra. I vietcong sono
penetrati nella città calzando sandali giapponesi legati con lo
spago: hanno bussato alle case dei ricchi e sono stati
denunciati, hanno bussato alle case dei poveri e lì hanno
resistito al fuoco e alle cannonate.
Saigon, febbraio
MERCOLEDÌ, 7 FEBBRAIO. Sono tornata a Saigon con un aereo
militare via Bangkok. Non c’è altro mezzo da quando la città è
in stato di assedio: l’aeroporto di Tan Son Nhat è chiuso al
traffico civile dall’alba del 31 gennaio e i combattimenti vi
infuriano intorno, di giorno gli americani respingono verso la
campagna i vietcong e di notte i vietcong riacquistano le
posizioni perdute. Ostinatamente, disperatamente. Non è stato
facile infatti neanche scendere a Tan Son Nhat: il fuoco
dell’artiglieria era così intenso che il comandante non osava
atterrare, ha volato sopra l’aeroporto per circa quaranta minuti.
Una volta atterrati, abbiamo dovuto attraversare la pista
correndo: la sparatoria era vicina, dal cancello sudovest
dell’aeroporto si alzavano fumate nere. Ci siamo rifugiati dentro
una baracca piena di soldati. I soldati avevano un’aria stanca,
spaurita, e l’ufficiale è parso molto sorpreso quando gli ho detto
che volevo entrare subito in città. La strada che da Tan Son